Le donne scendono in piazza per chiedere una rivoluzione che non si può più rimandare: quella della parità, dei diritti, del lavoro. E che non vuole lasciare sole le donne che vivono il momento più difficile, quelle afghane. Annunciata già nel luglio scorso dall’Assemblea della Magnolia e sostenuta da decine di associazioni di donne e non solo, la manfestazione nazionale vede scendere le donne in piazza dopo la pandemia. Per rivoluzionare la cura, per partire dai diritti, dal lavoro, per non lasciare indietro chi vive le difficoltà maggiori. La manifestazione si chiama “Tull Quadze” che, in pashtun vuol dire “Tutte le donne“, dalle afghane, alle precarie, alle lavoratrici, alle migranti, alle studentesse, alle insegnanti, alle sindacaliste, a chi subisce quotidianamente violenza e femminicidio. E proprio per non dimenticare e non lasciare sole le donne afghane scende in piazza anche Pangea Onlus, che in Afghanistan lotta per i diritti da vent’anni. Una piazza che inizia a Roma, sabato 25 settembre alle 14, arriva nelle altre piazze che hanno aderito, per volare fino all’Afghanistan.
La rivoluzione della cura e la lezione della pandemia
La lezione della pandemia, dicono le organizzatrici della manifestazione, fortemente sostenuta dalla Casa internazionale delle donne, è che il modello organizzativo e produttivo non funziona più, così come il modello di cura che conosciamo. Il rischio è che però tutto quello che abbiamo vissuto non ci porti al cambiamento che invece è necessario. Dall’ambiente, allo stato sociale, al lavoro, ai diritti, il Covid ha reso più fragle chi già lo era e ha caricato del peso della cura soprattutto le donne. “Oggi le donne – e tra le donne soprattutto quelle straniere – sono più povere, più precarie e il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione sono stati di ben poco aiuto per evitare la perdita dei loro posti di lavoro“, sottolineano.
Ecco che le risorse, a partire da quelle del Pnnr, “devono essere utilizzate per avviare la ‘rivoluzione della cura’: passare da un mondo in cui tutto si misura per prestazioni a un mondo in cui diventano fondamentali le relazioni“, per ricostruire “il legame sociale, per una nuova idea di politica e di giustizia basata sull’interdipendenza e sulla relazione per ridisegnare un nuovo modo di stare al mondo“. Una rivoluzione della cura che mette al centro “il rispetto dell’altro, i diritti e le libertà di tutte e di tutti, a partire dal diritto alla cittadinanza e dal riconoscimento di tutte le soggettività LGBTQ+. Di tutto questo – denunciano – non vi è traccia, non solo nel PNRR ma anche nella visione politica del governo“.
Pangea in piazza con le donne Afghane: non lasciamole sole
Di tutto questo, l’Afghanistan “è il tragico specchio” e le donne stanno pagando un altissimo prezzo. “In questi giorni siamo state spettatrici e spettatori delle tante proteste contro i talebani che sono nate in maniera spontanea in tutte le province dell’Afghanistan – dice Simona Lanzoni vicepresidente di Pangea Onlus – donne di tutte le età sono scese in strada per rivendicare diritti, libertà, pace. Ma dopo le manifestazioni i Talebani hanno iniziato a punirle, entrando nelle case, non permettendogli più di usare i cellulari, di comunicare, di studiare e mettendo a rischio la loro vita e quella dei loro familiari. Ora che ci dicono che tutto è finito, che i talebani hanno vinto e che per le donne non c’è futuro, noi rispondiamo che non le lasceremo sole!“.
Per questo, per testimoniare il suo ventennale impegno in Afghanista, Pangea scenderà in piazza con la P sulla mano, “la stessa P che le donne e gli uomini afghani si sono disegnati sulla mano e che durante i giorni drammatici dell’evacuazione in aeroporto ha rappresentato un lasciapassare verso la libertà“, dice Lanzoni. Pangea chiede per le donne e gli uomini afghani istruzione, lavoro e possibilità di manifestare, che le donne possano partecipare alla vita politica e siano nei tavoli internazionali sui processi di mediazione di pace, un Osservatorio permanente sui diritti delle donne in Afghanistan, al ministero Affari Esteri e all’Onu, per monitorare la condizione femminile e intervenire sulle violazioni. Inoltre, dice la Onlus, servono un piano straordinario di evacuazione umanitaria per chi vuole lasciare il Paese, con particolare attenzione alle donne che hanno maggiori difficoltà a trovare vie di fuga in maniera protetta, e un piano di accoglienza in Italia dei richiedenti asilo che rispetti le questioni di genere e che tenga conto delle storie di violenza che vivono le donne nei paesi di provenienza, durante il transito e all’arrivo.
Alla piazza di Roma hanno aderito anche le piazze di Milano, Lecce e Venezia, altre stanno mandano le loro adesioni. Qui l’elenco completo.
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