“Sei un somaro, studia!” Oggi forse non si usa più, ma ricordo che la mia esperienza scolastica è stata in più occasioni accompagnata da questo mantra. Ai tempi pensavo che l’unico intento dei miei nonni, da cui partivano più frequentemente l’epiteto e la proposta di soluzione al problema, fosse quello di rimarcare la mia condizione di impreparazione rispetto a tutta una serie di tematiche. Credevo che proprio questi contenuti mi sarebbero serviti per un futuro più roseo garantito dalla loro proposta risolutiva (quello “studia!” che ancora mi risuona nelle orecchie), che avrebbe potuto allontanarmi dalla condizione di “ignoranza” in cui mi crogiolavo. Insomma, ero convinto che la potenziale incompetenza fosse solo un problema mio e del mio futuro.
Qualche anno più tardi, vivendo appieno l’esperienza lavorativa, mi sono accorto di come l’impreparazione professionale sia in realtà un problema non solo per chi risulta incompetente, ma anche per chi è costretto a gestire o a subire il poco sapere altrui.
La parola ignorante proviene dal latino: in-gnarus che vuol dire non a conoscenza, incompetente, inesperto… Tra le tante definizioni che si incontrano, è affascinante come una delle più diffuse porti con se le sue origini latine: mancanza di conoscenza, di competenza, di esperienza o di informazioni che può essere riferita a diversi oggetti, contenuti o circostanze (Treccani).
La mancanza di conoscenza è una condizione naturale che accompagna ogni persona nei primi momenti di vita e che dovrebbe diminuire a seguito delle esperienze fatte e grazie alla capacità di apprendere. Il famoso aforisma “non si finisce mai di imparare” porta con sé, oltre ad una grande verità, un mutamento della condizione iniziale di ignoranza. Nel corso della nostra vita l’impreparazione, grazie all’esperienza e allo studio, può ridursi, ma soprattutto può trasformarsi a in una sorta di consapevolezza di non poter imparare tutto. Diciamo che l’impreparazione si trasforma da naturale a consapevole e razionale.
Perché a volte scegliamo l’ignoranza?
Alle volte questa condizione non viene raggiunta e possono comparire situazioni più allarmanti: l’ignoranza per scelta e/o l’orgoglio dell’incompetenza. In determinati contesti, alcune persone possono decidere di non prepararsi e continuare a non conoscere. Le ragioni possono esser molteplici, ma a volte ignorare certi fatti, talune informazioni o determinati eventi può sembrare più semplice che dover affrontare una prospettiva realistica delle circostanze. Ecco che la scelta del non sapere diventa rassicurante e la sua ostentazione con orgoglio porta a mascherare anche gli ultimi tratti di insicurezza. Un’altra situazione di scelta di ignoranza la si incontra quando ci appare più semplice trascurare dati o fatti che appaiono incomprensibili e necessiterebbero di studi per venire approfonditi. Anche in questa situazione, negare ciò che non si comprende o non si conosce può dare una piacevole tranquillità.
Ci siamo accorti, con particolare chiarezza nell’ultimo anno di pandemia, che in alcune occasioni esistono dei processi relazionali/sociali che possono creare fenomeni di impreparazione condivisa e diffusa, che riescono a rendere l’ignoranza stessa una condizione socialmente accettata e, in talune occasioni, ricercata più della competenza.
Abbiamo potuto vedere come demagogia, riconoscimento sociale/prestigio di chi comunica, conformismo e propaganda degli aspetti più “comodi” da accettare possono alimentare una tendenza ad apprezzare maggiormente argomenti infondati e promossi senza preparazione. Questa tendenza si contrappone alla diffusione di informazioni validate da dati e conoscenze, ma meno vicini alla rappresentazione mentale più comunemente condivisa che potrebbe far più fatica a propagarsi e venir accettata.
Chi comunica con bassa preparazione o con conoscenza superficiale spesso tende anche ad escludere notizie chiave per la comprensione altrui, limitandosi ad una informazione utile a sostenere la propria idea. La mancanza di senso critico e lo sforzo di verifica e approfondimento delle notizie a cui molti scelgono di sottrarsi diventano terreno fertile per le famigerate “fake news”.
Se poi aggiungiamo il fatto che già dall’adolescenza l’attributo “secchione” etichetta in modo sgradevole il più preparato di un gruppo di studenti, è facile immaginare come, crescendo, le persone possano rischiare di abituarsi al fascino della mancanza di preparazione o della raccolta superficiale di informazioni e tendere ad una inconsapevole progressione della loro incompetenza.
Come investire in conoscenza
A livello sociale due dei più grandi nemici della conoscenza diffusa e della lotta all’impreparazione di massa sono riconducibili ai ridotti investimenti economici e al mancato sostegno delle attività culturali e di studio: proprio da questi due aspetti trae nutrimento l’ignoranza diffusa.
Analogamente, a livello individuale, è necessario un continuo sforzo economico e psico-fisico verso l’apprendimento, lo studio, l’aggiornamento per risultare realmente preparati in un contesto professionale o in un campo del quale si è appassionati. Questo aspetto appare ancora più importante, ma anche più faticoso e dispendioso, considerato l’aumentare della complessità nella società moderna.
Oggi la sfida più grande per i sostenitori della conoscenza è riuscire a mantenere la rotta senza subire il fascino delle sirene, rappresentate da una società che ci orienta verso la semplificazione di ogni attività e verso informazioni (le più superficiali) disponibili a fatica zero. Non è facile inseguire un traguardo che necessita di tanti sforzi quando a portata di mano sembra esserci una soluzione semplice ed apprezzata.
Soltanto una corretta informazione sociale, un ritorno al reale valore della cultura e della conoscenza, una scelta di mezzi di comunicazione che permettano un apprendimento profondo ma comunque a portata di mano possono combattere la facilità con cui dilaga l’impreparazione: l’approccio deve adattarsi ai tempi, ai fruitori ed al contesto. Pensare di lottare come si è fatto in passato sarebbe un suicidio culturale.
Nel puntare su istruzione e formazione, bisogna quindi tener presente la situazione in cui si opera e gli interlocutori a cui ci si rivolge per porre in atto scelte correlate all’efficacia del percorso di crescita stesso. Gli stili di apprendimento delle persone non sono affatto univoci e la proposta non può passare solo attraverso i canali tradizionali: laddove le informazioni venissero percepite come troppo teoriche, rischieremmo scarsa attenzione. Questo porterebbe l’interesse altrove e incentiverebbe la ricerca di conoscenza, attraverso canali diversi. Il rischio è che la scelta cada su informazioni più superficiali, ma più accessibili o comunicate in modo coinvolgente.
La strada verso una società che smetta di assorbire i costi dell’ignoranza e possa dedicarsi alla gestione delle conoscenze deve partire necessariamente dalla considerazione dell’altro e dal sapersi adattare al suo linguaggio. Se per interessare i giovani dobbiamo rendere la cultura più accessibile anche quando va in profondità ben vengano i canali digitali e il sostegno allo sviluppo di soluzioni che coniughino sostenibilità, facilità d’uso e scientificità dell’approccio e del metodo. Se per promuovere la conoscenza dobbiamo celebrare i risultati ottenuti grazie alla faticosa conquista del proprio sapere, ben vengano modelli di riferimento e premi che promuovano questa direzione.
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