Strasburgo condanna l’Italia per violazione della vita privata e familiare di una giovane ventitrenne, presunta vittima di stupro, nel corso dell’iter giudiziario. La Corte europea per i diritti dell’Uomo, reputando ricevibile il ricorso presentato dalle avvocate della vittima, Titti Carrano e Sara Menichetti, mette in luce la presenza, in particolare nella sentenza della Corte di Appello di Firenze che ha ribaltato la condanna di sette giovani per stupro di gruppo nei confronti di una ventitreenne, di stereotipi contro le donne, vittimizzazione secondaria, passaggi irrispettosi della vita privata, commenti ingiustificati e argomenti che veicolano i pregiudizi esistenti nella società italiana. Il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare che secondo il giudice europeo l’Italia ha violato si presenta così come una nozione ampia che viene elaborata di volta in volta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e che include numerosi aspetti dell’identità della persona. “Le autorità nazionali – dice la Corte – non hanno tutelato la ricorrente dalla vittimizzazione secondaria durante tutto il procedimento, di cui la redazione della sentenza è parte integrante”.
Il caso della Fortezza da Basso a Firenze
Il caso nasce quando la Corte di appello di Firenze ha assolto sette giovani tra i 28 e i 30 anni accusati di stupro di gruppo di una ragazza di 23 anni la sera del 26 luglio 2008 nella Fortezza da Basso a Firenze nel 2008. Secondo l’accusa, dopo aver passato la serata insieme al gruppo di giovani, la ragazza è stata accompagnata in un parcheggio vicino alla Fortezza, dove, in auto, è avvenuto il presunto stupro. Dopo la denuncia della ragazza, gli imputati sono stati arrestati. Condannati dal tribunale di primo grado, sono stati prosciolti in appello perché “il fatto non sussiste”.
Per la Corte europea “riferimenti ingiustificati” a biancheria intima o sessualità
La Corte, si legge nella sentenza, ha preso atto di “diversi passaggi della pronuncia della Corte d’Appello di Firenze che rievocano la vita personale e intima della ricorrente e che violano i diritti derivanti dall’articolo 8” come “i riferimenti ingiustificati” alla biancheria intima ‘mostrata’ dalla ricorrente durante la serata o i commenti sui “rapporti sessuali e sentimentali” della giovane. Allo stesso modo, la Corte condanna “le considerazioni relative all’atteggiamento ambivalente nei confronti del sesso” della ricorrente e il fatto che la Corte d’Appello menzioni anche “la scelta di accettare di prendere parte a un cortometraggio nonostante la sua natura esplicitamente sessuale”.
Strasburgo richiama i rilievi di Grevio contro l’Italia, sono presenti stereotipi
Il giudice europeo, inoltre, richiama tutta una cornice legislativa all’interno della quale viene inquadrato l’operato dell’Italia e ricorda anche il settimo rapporto sull’Italia del Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione contro donne e il rapporto Grevio dai quali emergono “la persistenza di stereotipi sul ruolo delle donne” nella società italiana. Inoltre Nazioni Unite e Grevio “hanno sottolineato il basso tasso di procedimenti penali e condanne in Italia” legato a “una mancanza di fiducia delle vittime nel sistema di giustizia penale”. E ancora: la Corte ritiene che “il linguaggio e gli argomenti utilizzati dalla Corte d’Appello trasmettono pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana e che sono tali da ostacolare l’effettiva tutela dei diritti delle vittime di violenza di genere nonostante un quadro legislativo soddisfacente”.
Strasburgo: “Evitare la vittimizzazione secondaria” nell’iter in tribunale
E infine la Corte richiama la vittimizzazione secondaria, quel fenomeno che accade quando la donna diviene nuovamente vittima perché non viene creduta, la violenza non viene riconosciuta, o perché costretta a rivivere situazioni di sofferenza già affrontate. La Corte europea ritiene che “procedimenti penali e sanzioni giocano un ruolo cruciale nella risposta istituzionale alla violenza basata sul genere e nella lotta alla disuguaglianza di genere. È quindi essenziale che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle decisioni dei tribunali, per ridurre al minimo la violenza di genere e l’esposizione delle donne alla vittimizzazione secondaria utilizzando osservazioni moralistiche suscettibili di scoraggiare la fiducia” delle vittime nella giustizia.
Avvocata Carrano: “Strasburgo rende giustizia alle donne che subiscono vittimizzazione secondaria”
“La sentenza di Strasburgo – afferma l’avvocata Titti Carrano – rende giustizia a tutte le donne che quando denunciano, devono affrontare un percorso giudiziario in cui subiscono vittimizzazione secondaria, con l’effetto di scoraggiarle dal presentare denuncia”. La Corte europea dei diritti dell’Uomo, prosegue, “ritiene deplorevole e irrilevante il riferimento nella sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Firenze alla vita personale, alle attività artistiche culturali, all’abbigliamento e all’orientamento sessuale che sono poste alla base dell’attendibilità della testimonianza della donna, con una grave ingerenza nella sua vita privata”, spiega l’avvocata. “La vita e la dignità di questa donna sono state calpestate così come sono state calpestate la riservatezza, la dignità, l’immagine. Eppure da tempo le norme nazionali e internazionali richiamate in questa sentenza della Cedu chiedono la tutela e la protezione della vittima”, aggiunge Carrano.
Veltri (presidente D.i.Re): “Sentenza stigmatizza la delegittimazione delle vittime di stupro”
La sentenza di Strasbrugo, commenta Antonella Veltri, presidente di D.i.Re-Donne in rete contro la violenza, “è importantissima perché stigmatizza la delegittimazione delle vittime di stupro, ritenute corresponsabili delle violenze subite in base a valutazioni legate alla loro vita privata che continuano a essere usate per motivare sentenze condiscendenti verso gli autori delle violenze, nonostante ciò sia vietato da nome interne e internazionali, a cominciare dalla Direttiva dell’Unione europea sulla protezione delle vittime di reato, dalla Cedaw e dalla Convenzione di Istanbul”.
Gli altri casi alla Corte di Strasburgo
Il nostro Paese, peraltro, è ancora sotto sorveglianza per il caso Talpis (seguito sempre dall’avvocata Carrano), un caso di violenza per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte europea nel 2017 a causa dell’inadeguatezza delle autorità nell’impedire al marito di tentare di uccidere la moglie e di uccidere il figlio, intervenuto a difesa della donna. Entro il 31 marzo, l’Italia avrebbe dovuto dare risposte adeguate nell’ambito della procedura attivata dopo la sentenza della Corte europea di Strasburgo per il caso Talpis. La decisione della Corte ha avuto come effetto l’avvio della procedura di esecuzione davanti al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che, nel bilancio d’azione di ottobre scorso, pur lodando gli sforzi compiuti dalle autorità per prevenire e combattere la violenza, non si è detto soddisfatto. L’organo esecutivo ha sottolineato in particolare l’importanza cruciale di una risposta “adeguata, efficace e rapida” da parte delle forze dell’ordine e della magistratura agli atti di violenza domestica per garantire la protezione delle vittime e, nel contempo, garantire loro accesso effettivo a un sostegno e un’assistenza adeguati.
Ora, per il caso della giovane ventitreenne l’Italia potrebbe ricorrere alla Grande Camera di Strasburgo. “Mi auguro che il governo italiano accetti questa condanna senza ricorrere alla Grande Camera e che si adoperi concretamente per attività di prevenzione e formazione degli operatori di giustizia affinché non si ripetano ulteriori episodi di vittimizzazione secondaria nei processi penali e civili, superando una cultura carica di stereotipi e pregiudizi”, sottolinea Carrano. “Da tempo denunciamo il rischio di vittimizzazione secondaria nei tribunali e le sue nefaste conseguenze. La magistratura italiana deve evitare di usare strumenti che colpevolizzano le donne e rispettare le convenzioni internazionali a tutela delle donne che subiscono di violenza”, conclude la presidente di D.i.Re.
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Il Sole 24 Ore, con Alley Oop, è partner del progetto Never again, che ha come obiettivo quello di contrastare e combattere la vittimizzazione secondaria delle donne colpite dalla violenza.
NEVER AGAIN è un progetto co-finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea (2014-2020), GA n. 101005539. I contenuti di questo articolo sono di esclusiva responsabilità degli Autori e non riflettono il punto di vista della Commissione europea.