Caso Penati, Antonella perde a Strasburgo ma non si ferma

Little boy walks in the field full of golden wheat

Antonella Penati, la madre di Federico Barakat, ucciso durante un incontro protetto col padre, ha perso, dopo sei anni, il ricorso a Strasburgo con il quale chiedeva la condanna dello Stato italiano per non aver protetto il diritto alla vita di suo figlio. La Corte europea dei diritti dell’Uomo ha ritenuto, infatti, che il ricorso fosse inammissibile da punto di vista sostanziale, dato che la donna aveva accettato 100mila euro e si era accordata su un nulla a pretendere nel corso di un processo civile contro i servizi sociali, ammissibile sotto il profilo procedurale, ma non ha ravvisato la violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione europea. Di fronte a questo responso Antonella Penati e i suoi legali non si fermano e stanno preparando l’appello alla Grande Camera.

Legali Penati: La Corte non ha affrontato il tema vero del ricorso
Federico è stato ucciso nel 2009 nell’ambito di un incontro protetto all’interno di una struttura del Comune di San Donato Milanese. Gli incontri erano stati disposti dal Tribunale nonostante le numerose denunce di violenza della madre, e il rifiuto del minore a incontrare il padre violento. I legali della Penati, nel corso di una conferenza stampa, hanno sottolineato, in particolare, come la Corte europea abbia avallato la tesi difensiva secondo cui gli incontri protetti avevano il ruolo di sostegno allo sviluppo educativo e psicologico del bambino, e non di salvaguardia del diritto all’integrità fisica e psichica e, più in generale, del diritto di protezione del minore. «La Corte di Strasburgo – ha affermato l’avvocato Federico Sinicato – non ha voluto affrontare il tema vero del ricorso, non ha voluto rispondere alla domanda molto semplice che avevamo posto: lo Stato deve garantire al minore il diritto alla protezione da un genitore aggressivo e inaffidabile? Una risposta di buon senso alla quale chiunque risponderebbe in modo affermativo. Invece, la sentenza che arriva da Strasburgo ignora la domanda del nostro ricorso e sembra dire che quando l’autorità pubblica prende in consegna un minore e lo porta in un ufficio pubblico per ordine del Tribunale è possibile che nessuno si occuperà della sua sicurezza e della sua vita, perché è importante solo controllare che l’effettuazione dell’incontro sia formalmente regolare. La Corte Europea ci sta dicendo che è possibile considerare normale che un uomo già più volte denunciato, armato e drogato possa incontrare il proprio figlio senza alcuna verifica sulle sue condizioni di salute psicologica. Con il nostro ricorso non era in discussione la correttezza di un procedimento giudiziario ma l’evidente paradosso di un diritto alla sicurezza e alla vita del minore tanto sbandierato in teoria quanto dimenticato nella prassi; spesso citato nei trattati internazionali ma del tutto omesso nell’interpretazione concreta delle norme”.

Nascimbene: “Serve protezione fisica dei bambini, studiamo appello alla Grande Camera”
Sulla stessa scia il legale Bruno Nascimbene, professore di diritto dell’Unione europea a Milano: «Il caso Penati deve essere un esempio perché altri episodi simili non si verifichino. Il bambino era stato affidato a una struttura pubblica. Gli incontri dovevano svolgersi secondo il sistema di protezione degli incontri protetti. Se c’è una lacuna, che sia giudiziaria o legislativa, non dobbiamo lasciare questo dubbio. Dobbiamo prevedere che la protezione sia effettiva, anche dal punto di vista fisico. Il compito di tali enti non può essere limitato ad assistere il bambino sotto il  profilo educativo, ci deve essere una protezione di carattere fisico, con una persona ad hoc che tuteli il bambino nell’incontro. Stiamo studiando come redigere l’istanza alle Grand Chamber, vogliamo tutelare la signora Penati, il bimbo e tutti coloro che possono trovarsi in episodi simili”.

Udi: “completa inidoneità degli incontri protetti a fronteggiare la complessità della situazione”
A difesa di Antonella Penati è intervenuta anche l’Udi, l’Unione delle donne italiane. “L’Unione delle Donne Italiane, da sempre in prima linea nel contrasto alla violenza contro le donne – ha dichiarato l’avvocata Fabrizia Castagna – ha denunciato la completa inidoneità degli incontri protetti a fronteggiare la complessità della situazione, ma soprattutto ha rappresentato che erano state del tutto ignorate le linee guida dei Servizi per il diritto di visita e di relazione, adottate dalla Provincia di Milano. Benché esistano specifiche normative e misure a tutela della persona offesa, accade troppo spesso che ci siano femminicidi e figlicidi, perché accade che, in molti casi continui a persistere, da parte della magistratura italiana, una disarmante sottovalutazione del pericolo per la vita del minore e della donna, assegnando inspiegabilmente preferenza alla tutela del diritto del padre, anche se violento. Nel caso di Antonella Penati e di suo figlio Federico, è davvero sconcertante che non siano state riconosciute le innumerevoli denunce presentate dalla madre”.

Italia ancora sotto sorveglianza per il caso Talpis per il quale è stata condannata
Il nostro Paese, peraltro, è ancora sotto sorveglianza per il caso Talpis, ritenuto dalla difesa Penati per alcuni versi simile a quello di Federico Barakat. Entro il 31 marzo, l’Italia avrebbe dovuto dare risposte adeguate nell’ambito della procedura attivata dopo la sentenza della Corte europea di Strasburgo per il caso Talpis. Una vicenda per cui il nostro Paese è stato condannato nel 2017 per l’inadeguatezza delle autorità nell’impedire al marito di tentare di uccidere la moglie e uccidere il figlio, intervenuto per difendere la donna. La decisione della Corte ha avuto come effetto l’avvio della procedura di esecuzione davanti al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che, nel bilancio d’azione di ottobre scorso, pur lodando gli sforzi compiuti dalle autorità per prevenire e combattere la violenza, non si è detto soddisfatto. L’organo esecutivo ha sottolineato in particolare l’importanza cruciale di una risposta “adeguata, efficace e rapida” da parte delle forze dell’ordine e della magistratura agli atti di violenza domestica per garantire la protezione delle vittime e, nel contempo, garantire loro accesso effettivo a un sostegno e un’assistenza adeguati. Per Titti Carrano, avvocata che ha seguito il caso Talpis e già presidente della rete di centri anti violenza D.i.Re, “il governo deve intervenire in modo adeguato, rispondendo agli obblighi che provengono dalla Convenzione di Istanbul, ma deve anche pensare a misure affinché il diritto venga garantito e non si trasformi in un percorso a ostacoli, incorrendo nel caso della vittimizzazione secondaria, per cui la donna, già vittima di violenza, diventa di nuovo vittima una volta avviato il procedimento in tribunale“.

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