Adolescenti in coppia sul divano di mamma e papà

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Per gli adolescenti l’amore è sempre al centro: nei loro discorsi, racconti, nelle immagini sui social e anche nelle sedute di psicoterapia, l’amore è costantemente il focus della loro attenzione. E questo da sempre: l’amore a quell’età – chi non lo ricorda – è assoluto, travolgente, lascia senza fiato, non concede tregua. E’ l’incontro con l’altro nel momento in cui la propria identità si costruisce e si delinea, quando i pari (i coetanei, dunque, non più la famiglia) fanno da specchio, confermano il valore di sé, sostengono, condividono le fatiche e gli struggimenti di anni bellissimi – sicuramente – più nello sguardo nostalgico di noi adulti che nella realtà.

Certo, quando parliamo di adolescenti e di adolescenza così, generalizzando, forzatamente mettiamo da parte le individualità, le storie personali e familiari, che rendono unica ogni esperienza e che proprio come tale va trattata. Ma il contesto, la società e le tendenze che diventano comuni esistono e hanno il loro peso.

Fatta questa premessa, c’è una modalità che negli ultimi anni si è consolidata sempre di più nel modo di abitare l’amore di molte coppie adolescenti: il vivere relazioni che assomigliano a quelle degli adulti. Il rapporto infatti si declina nel quotidiano, con molto tempo passato in casa e condiviso con una o entrambe le famiglie (che diventano parte attiva della relazione), in cui trovano spazio lunghe serate sul divano a vedere le serie tv, il fare la spesa, il cucinare insieme, il dormire insieme regolarmente, in una casa o nell’altra. A 16-17 anni i ragazzi si “accasano”, come si sarebbe detto una volta.

D’altra parte, questo rende felici e rassicura moltissimo quei genitori (ne abbiamo parlato qui) che trattano i figli “da pari”, che si mettono esattamente al loro livello, ponendo sempre meno confini tra i ruoli e gioendo dell’averli a portata di mano, e perciò in qualche modo “sotto il loro controllo”. È nata una sorta di fluidità in cui padri e madri si confondono con i figli, sono sempre più “come loro”, con un movimento che rende i genitori sempre più adolescenti e gli adolescenti sempre più adulti (nei comportamenti, ma ovviamente meno nella sostanza e nell’interiorità emotiva).

Certamente tendenze come queste vanno osservate ed esaminate in maniera approfondita, mai giudicate, per essere comprese nel loro significato e nelle possibili conseguenze. Qualche spunto di riflessione e di analisi, però, emerge facilmente. In primo luogo, si rivela la fragilità (aumentata sicuramente negli ultimi anni) di questi ragazzi e ragazze, con il loro bisogno di riscattare rapporti familiari complessi e spesso frammentati, con la costante ricerca di sicurezza e di punti di riferimento saldi, con la necessità di mantenersi nella propria zona di comfort e il non sentirsi mai abbastanza forti per sperimentare l’ignoto.

Ancora, sottolineo che stiamo parlando di relazioni “adultizzate” e non “adulte”: della relazione adulta, questi ragazzi prendono solo l’apparenza, non la sostanza, e solo così può essere. L’adolescenza è l’età del “tutto o niente”, per questo quando ci si innamora è facile innamorarsi perdutamente, idealizzare l’altro, avere dei rapporti strettissimi e racchiudere l’universo nello sguardo del proprio fidanzato o fidanzata. Ma questa è anche l’età della costruzione della propria identità, in cui è importante attraversare varie esperienze, varie fasi, in cui questi amori fisiologicamente dovrebbero avere delle parabole discendenti, perché per loro definizione sono – e devono rimanere – immaturi. In ognuno di essi ci si può scoprire, trovare dei pezzetti di sé, ma la spinta prevalente dell’adolescente dovrebbe essere quella di conoscersi e di andare liberamente verso se stesso, e verso un amore maturo che arrivi solo ad un certo punto di una struttura di
personalità conquistata. Lo ha spiegato bene lo psichiatra Daniel Siegel nel suo “La mente adolescente”, una pietra miliare in questo campo: le emozioni a questa età sono in costruzione e risentono di vari squilibri di neurtrasmettitori non ancora giunti al livello di quelli degli adulti.

Le relazioni così “adultizzate”, dunque, non solo intralciano il complesso compito evolutivo dell’età adolescenziale, ma portano con sé due rischi molto evidenti: il primo è che si acceleri la parabola discendente per cui spesso il rapporto si “intiepidisce” dopo qualche mese di vita “da sposati”, con conseguenze inevitabili anche sulla sessualità (vissuta “in famiglia” e non più terreno di conquista individuale), ma viene trascinato magari anche per anni, proprio perché si è creata una cornice familiare troppo forte intorno ed è difficilissimo uscirne.

Un altro rischio da non sottovalutare è che in queste relazioni si riversi molta aggressività, che nasce dalla repressione del proprio istinto di libertà, spinta tipica dell’adolescenza e vitale per quel necessario processo di sperimentazione di cui abbiamo detto. Il pericolo è che quella rabbia, se non consapevole, se non condivisa, espressa e veicolata, si riversi direttamente sull’altro o sull’altra, con una gelosia molto forte, che  per esempio può sfociare in un insano senso di possesso con le reazioni e gesti anche molto preoccupanti.

Come abbiamo detto, non possiamo generalizzare troppo, ma registrare delle tendenze sì. Vale la pena, alla luce di questa analisi, anche solo citare il fatto che all’estremo opposto di questa tipologia di relazione abbiamo altri adolescenti che tendono ad isolarsi, a evitare il confronto, e non hanno relazioni se non fugacissime, brevissime e superficiali, magari limitate al sesso. Qui, è proprio la paura di cadere nel modello “matrimoniale” dei coetanei, o a volte di quello complicato dei propri genitori, molti dei quali provengono da coppie fallimentari e sono alla continua ricerca del “partner” giusto. Sono loro che spesso vivono le relazioni in modo “adolescenziale”, creando un rovesciamento dei ruoli così tipico di questo tempo, quello che lo psicoterapeuta Massimo Ammanniti ha raccontato molto bene quando ci ha spiegato, nel suo libro, “La famiglia adolescente”.

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  • Stefano |

    Ho conosciuto tanti anni fa Alice, ed anche se l’ho frequentata per poco tempo ricordo la sua grazia ed intelligenza. Forse anche per questo il suo pezzo, molto ben scritto, mi sembra più un’introduzione al tema trattato che un punto di vista personale. Che mi sarebbe piaciuto invece capire meglio. Il mio, ad esempio, è più rappresentato nelle ultime 4/5 righe del pezzo. Provo solidarietà per quei ragazzi “costretti” a diventare grandi prima del tempo come risposta a genitori eterni “peter Pan” alla ricerca di se stessi come persone e rapporti di coppia. Genitori che rubano la loro gioventu non offrendo una solidità con cui magari scontrarsi ma sulla quale potere contare mentre ci si definisce.Cosa, peraltro, che può avvenire benissimo anche essendo in coppia. Magari con la sofferenza della separazione, che da giovani è spesso devastante, quanto inevitabile per chi vi ricorre.

  • gloria |

    la giornalista con il suo articolo evidenziando gli aspetti dei rapporti tra adolescenti offre non solo spunti di riflessione ma mette il dito nella piaga di quello che può costituire il delinearsi di una patologia. Adolescenti adultizzati, genitori adolescenti, adolescenti che non escono da casa, sindrome di kikimori,sono campanelli di allarme che non bisogna sottovalutare, certo non bisogna generalizzare ma consentiamo ai nostri figli di vivere le tappe di un sano sviluppo emotivo affettivo, consentendogli anche di sbagliare e di sperimentare le proprie oscillazioni tra l’autonomia e la dipendenza e che i genitori siano come disse qualche tempo fa come un “materasso” che consentono ai propri figli di sperimentare e costruire la propria identità individuale, sociale e morale nel periodo loro consentito, l’adolescenza appunto

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