La pandemia ha peggiorato la situazione e la disparità di retribuzione uomo-donna in Italia è un tema che non può essere rimandato. Se ne parla ormai da diversi anni e puntualmente i numeri confermano un gap che pare difficile da colmare, mentre le risorse europee del Recovery Fund potrebbero rappresentare uno strumento efficace per superare la disparità. A muoversi, intanto, sono le Regioni con Lazio e Lombardia in prima linea.
La commissione Lavoro e Pari Opportunità della Regione Lazio ha approvato lo scorso 22 marzo una legge-quadro per favorire la parità di genere a partire dal tema delle retribuzioni che, all’articolo 2, sottolinea come “la differenziazione retributiva basata sul genere incide negativamente sul progresso paritario della società e impedisce il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione delle donne all’organizzazione politica, economica e sociale”. Il testo, prima firmataria la presidente della Commissione, Eleonora Mattia (Pd), è ora in attesa del via libera definitivo del Consiglio regionale: “Ho chiesto a tutti i Capigruppo di calendarizzarla prima possibile” riferisce Mattia, rimarcando che “la proposta è stata presentata nel 2019 ma la pandemia ha allargato le disuguaglianze e colpito maggiormente i settori economici e i gruppi sociali già più deboli. Le donne in particolare, che già erano in condizioni strutturali di disuguaglianza nel mondo del lavoro, sono state ancora più colpite”.
Mattia ricorda che nel Lazio una donna su 2 ancora non lavora (52,1%) e nell’ultimo anno, secondo i dati Eures e Istat, l’occupazione femminile è scesa del 3,1% contro l’1,1% degli uomini. A livello retributivo, la situazione è particolarmente allarmante per le libere professioniste che guadagnano fino al 45% in meno dei colleghi uomini. Cosa propongono le nuove norme? “Il primo passo è quello della trasparenza e della diffusione dei dati” sottolinea la consigliera regionale del Lazio: la proposta prevede in questo senso la creazione di un registro con l’elenco delle imprese “virtuose” in materia di parità retributiva, con particolare attenzione ai dati su formazione, promozione professionale, passaggi di categoria o di qualifica, retribuzione effettivamente corrisposta, e con un sistema di “premialità”. Le misure riguarderanno le aziende sotto i 100 dipendenti perché si ‘agganciano’ a quanto già previsto per le aziende sopra i 100 dipendenti dal Codice pari opportunità.
Si punta anche alla creazione di “reti di imprese volte alla diffusione di modelli organizzativi di lavoro paritario” e si varerà una “Giornata regionale contro le discriminazioni di genere sul lavoro”. Sono poi previste misure per contrastare l’abbandono lavorativo da parte delle donne e per favorirne l’occupazione stabile e di qualità. Si punta, inoltre, alla “formazione di nuove competenze sia per l’inserimento che il reinserimento nel mondo del lavoro, con attenzione a percorsi altamente specializzati nelle discipline scientifiche e tecnologiche, le discipline Stem”. Previsto un “microcredito di emergenza” e, per quanto riguarda la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, “un investimento di 2,7 milioni nel 2022-2023” anche per “bonus sperimentali per padri che prendono congedi parentali in alternativa alle madri”. Nel complesso, si prevede uno stanziamento di 7,6 milioni nel triennio che potranno essere incrementati nel passaggio in Aula, riferisce la consigliera Pd, sia grazie ai nuovi fondi europei che ad un recente “accordo con le parti datoriali e sindacali sulle politiche attive del lavoro”. Mattia infine sottolinea che la proposta di legge va letta insieme a quella già approvata sul ‘sistema integrato educativo e dell’istruzione per l’infanzia’ 0-6 anni, che ha “l’obiettivo di arrivare ad una copertura del 60%” per gli asili nido, superiore al 33% previsto dall’Unione europea, con il passaggio “da un servizio individuale a domanda a un servizio universale”.
L’iniziativa della Regione Lazio è quasi giunta al traguardo ma non è l’unica. Alla Regione Lombardia è stata presentata una proposta di legge specifica sul tema del divario retributivo nel 2019, prima firmataria Paola Bocci (Pd), scaturita da un percorso di riflessione e di confronto con esperte e categorie. Bocci, che per il Pd lombardo si occupa di politiche di genere, rileva che approfondendo temi come quello della violenza sulle donne, “emergono una serie di ‘spie’” da cui emerge che “il divario retributivo è il difetto da aggredire”. Un gap che “non è solo quello salariale ma quanto una donna alla fine della vita lavorativa percepisce meno di un uomo e che la mette in una situazione di non uguaglianza”, anche a livello delle prestazioni pensionistiche che verranno percepite.
Se infatti in termini di divario retributivo di genere medio il gap, secondo i dati europei, si attesta intorno al 5%, la forbice si amplia quando si guarda alla retribuzione annuale media. Secondo dati Eurostat del 2014 il divario retributivo di genere complessivo in Italia arriva al 43,7%. Le cause ricorda Bocci sono molteplici: “La scelta di settori meno retribuiti, il part-time involontario, carriere frammentate, formazione poco ‘accompagnata’ verso settori più remunerativi e sfidanti”. Per invertire la rotta, oltre a quelle da parte dello Stato “ci sono azioni che possono intraprendere anche le Regioni” sostiene Bocci che nella proposta traccia cinque linee di intervento.
Anche in questo caso una prima azione riguarda la trasparenza: “Diffondere e pubblicare meglio i dati che ci sono ma arrivano tardi e sono poco pubblicizzati”. Una azione che serve “per l’emersione del fenomeno e favorirne la mappatura”. Altra linea di intervento è il “sostegno all’orientamento agli studi, con progetti di accompagnamento alla scelta di percorsi Stem”. La terza linea di intervento è “il supporto non solo alle aziende ma anche agli Enti locali e alle reti di imprese che promuovono la parità di genere”, insieme alla istituzione di un Albo regionale per le imprese ‘virtuose’ e di una ”Giornata della parità salariale”.
Un altro strumento previsto è quello di “azioni di sostegno al reddito per periodi temporanei e a corsi di formazione e aggiornamento per chi rientra al lavoro dalla maternità o da una assenza lunga per assistenza”. Si prevede anche “l’istituzione di un Tavolo di lavoro permanente con i rappresentanti delle associazioni sindacali e datoriali, delle Università, delle Istituzioni: luoghi dove decidere anche le premialità”. In Lombardia, ricorda la consigliera regionale, c’è il numero più alto di donne occupate (il 58,2% nel I trimestre 2020, in calo per effetto della pandemia ma superiore alla media nazionale che è sotto il 50 per cento), una presenza significativa anche a livello di posizioni apicali, un numero di laureate altissimo, “però anche qui persiste questa differenza retributiva”.
Per questo il varo di norme in materia può essere una “opportunità” anche per la Regione Lombardia. Inoltre, sui temi della parità retributiva e, in misura più ampia della parità di genere, in questo momento c’è attenzione anche a livello di Governo e di Europa: “Prima o poi – rileva – le Regioni potrebbero essere coinvolte nel dettaglio dei programmi Next Generation Eu” sui temi di loro competenza. Nel momento in cui, a causa della pandemia, “il mondo è cambiato e c’è stata una ‘mazzata’ alla occupazione e alla imprenditoria femminile, potrebbe essere interessante avere un progetto di legge che punta ad aspetti che incidono sul fenomeno come quello della formazione. Mi auguro che la Regione colga questa opportunità” conclude preannunciando un prossimo incontro con l’Assessora al lavoro. Se non ora, quando?
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