Possiamo ben dire che la Giunta regionale siciliana presieduta da Nello Musumeci (Diventerà Bellissima) non abbia mai spiccato per attenzione alla parità di genere. Ma, a due giorni da Capodanno, ha superato se stessa con l’annuncio dell’estromissione dell’unica donna su 12 assessori. E così, mentre l’Italia si divide ancora sulla opportunità di declinare al femminile i nomi che abbiano una qualche relazione con il potere, tormentandosi nel dubbio amletico se chiamarla assessora o continuare a dire assessore, può accadere che in una Regione la sola donna presente venga rimossa.
L’operazione di rimpasto, annunciata da subito e realizzata il 4 gennaio, finisce per consegnare all’Isola una Giunta che declina il potere e l’amministrazione per intero al maschile. Le ragioni della scelta sembrano essere tutte interne alle dinamiche di Forza Italia, partito cui appartengono sia i due assessori uscenti – Bernadette Grasso che lascia la Funzione pubblica ed Edy Bandiera, che era all’Agricoltura – come anche i due che sono subentrati, Marco Zambuto e Toni Scilla. Il messaggio che emerge dall’avvicendamento è avvilente: la politica appare roba da uomini e quando qualcuna viene “ammessa” suona come una concessione o poco di più.
Ma c’è chi non ci sta. E, infatti, se a dirsi felice della scelta è stata Gabriella Giammanco, che del partito di Silvio Berlusconi in Sicilia è la portavoce, per molti e per molte altre la decisione è sbagliata. A parte alcune reazioni scomposte come quella del leghista Vincenzo Figuccia (“Ciò che conta non è ciò che gli assessori hanno in mezzo alle gambe ma ciò che hanno in mezzo alle orecchie e come lo usano per il bene dei siciliani”, aveva commentato), in tantissimi si sono dissociati e hanno preso le distanze dal rimpasto. Proteste che avevano indotto il presidente della Regione a congelare le nomine. Tra le voci contrarie alla scelta di Musumeci c’è stata quella del presidente della Commissione antimafia siciliana, Claudio Fava, che ha evidenziato il rischio di “extraterritorialità rispetto alla civiltà del diritto e della storia” e ha ammonito Musumeci chiamando in causa il capo dello Stato.
“Il fatto è gravissimo e c’è un aspetto che più di altri va sottolineato”. Ad affermarlo è Margherita Ferro, la Consigliera regionale di Parità per la Regione Sicilia, che Alley Oop ha raggiunto al telefono la mattina dell’annuncio: “La Giunta ha addirittura cancellato, con questo rimpasto, il volere dell’assemblea regionale, lo ha disatteso”. Ferro, che fa della questione della rappresentanza paritaria una battaglia sin dal giorno dell’insediamento, è stata tra le prime a dirsi indignata e a richiamare la norma votata a giugno di quest’anno proprio dal Parlamento dell’Isola che dalla prossima legislatura servirà ad assicurare parità nella rappresentanza, stabilendo che non meno di un terzo degli assessori dovranno essere di sesso femminile.
Di quella disposizione si chiede a gran voce che gli effetti vengano anticipati. “Quello di cui abbiamo bisogno è capire che qui si combatte per una rivoluzione culturale e che è una rivoluzione necessaria, oggi più che mai. La legge sulla doppia preferenza di genere non può più aspettare”. Per la Sicilia sarebbe una riforma epocale, che peraltro affonda le sua radici nella Costituzione: basterebbero gli articoli 3, 51 comma 1 e l’art. 117 comma 7 a convincere anche i più scettici che esiste un obbligo per le leggi regionali che devono promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. Eppure pare non essere sufficiente.
Anche l’Europa ci incalza e invita gli Stati membri a compiere ogni sforzo possibile per incrementare la rappresentanza politica delle donne. Tra gli ambiti individuati dalla Risoluzione 2111 (2016) Valutare l’impatto delle misure volte a migliorare la rappresentanza politica delle donne (doc. XII-bis, n. 13) adottata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nell’aprile 2016, c’è quello volto a introdurre il principio di parità nelle Costituzioni e nella legislazione elettorale il sistema delle quote e altre misure positive.
Le sollecitazioni anche nazionali non mancano. La quasi totalità delle Regioni a statuto ordinario, salvo Calabria e Piemonte, ha dato attuazione ai principi sulla parità di genere, ma ci è voluto un intervento del Governo nazionale perché Liguria e Puglia si adeguassero, e per la Puglia è addirittura servito un decreto legge.
Le Regioni a statuto speciale presentano invece un quadro a dir poco eterogeneo. A parte qualche eccezione, rappresentata dalla Provincia autonoma di Trento o dalla Sardegna (dove da qualche anno sono previste sia la doppia preferenza di genere sia la presenza paritaria tra candidati di sesso diverso nelle liste elettorali), i dati tratti da una verifica curata dall’Ufficio ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali presso il Servizio Studi del Senato della Repubblica ci dicono che nelle altre Regioni all’elettore è consentito di esprimere una sola preferenza; addirittura nella Provincia autonoma di Bolzano le preferenze arrivano a quattro, senza tuttavia alcun vincolo.
“Deve darsi atto che occorre immediatamente una norma che riporti la parità nell’istituzione regionale e l’Ufficio della Consigliera sta lavorando in questa direzione”, conclude Margherita Ferro. A ben guardare c’è già nel cassetto dall’aprile 2019 un disegno di legge a firma del dem Giuseppe Lupo che era stato pensato per introdurre alcune norme in materia di doppia preferenza di genere, anche nelle elezioni dell’Assemblea regionale siciliana. La Consigliera perciò incalza i colleghi e le colleghe. Perché è tempo, ormai. Si attende da troppo l’approvazione di un testo che riporti finalmente le donne nella politica siciliana. Da questo inizio 2021 sono drammaticamente assenti.