Qualcuno si è accorto di loro durante il Coronavirus. Gli “invisibili”, che relegati nell’ombra per la prima volta nella storia sono emersi come categoria. Un primo passo per essere riconosciuti dei lavoratori a tutti gli effetti, importanti per l’industria editoriale, la crescita culturale ed economica del Paese.
Quella delle traduttrici e dei traduttori editoriali è una professione a rischio di sopravvivenza già prima della pandemia, perché sottopagata, priva di inquadramento, tutele sociali e previdenziali. Il Mibact a novembre ha destinato loro 5 milioni di euro sui 231,5 milioni per il 2020 con l’istituzione del fondo emergenziale previsto dal decreto Rilancio.
Le donne registrano la situazione più drammatica, stimate in un 84% della categoria. Con compensi generalmente più bassi dei “freelance” uomini, non godono di nessuna tutela. La filosofa Ilaria Bussoni ne ha delineato un profilo sociologico, secondo il quale la donna sarebbe culturalmente più propensa a svolgere compiti “di cura”, come quella estrema che richiede la traduzione, e per questo accetterebbe lavori mal pagati, situazioni di sfruttamento. La traduzione è spesso un secondo lavoro. Nel caso degli uomini lo è quasi sempre: nella maggioranza di casi si tratta di docenti universitari, mentre quelle che lo svolgono come prima attività sono in maniera preponderante donne.
“Non esiste – dice ad Alley Oop Marina Pugliano, del coordinamento Strade, sezione traduttori editoriali Slc-Cgil – un vero e proprio censimento. L’84% è estratto in base alla nostre iscritte, circa 340, a fronte di un numero che cerca di contarsi grazie al contributo stanziato dal Ministero. I politici non sapevano della nostra esistenza, erano convinti che avessimo la partita Iva, come chi lavora nel diritto d’autore”.
Le traduttrici editoriali sono autrici, come le scrittrici. Lavorano sulla forma: una professione creativa, che le differenzia dai traduttori tecnici. Vengono contattate dall’editore, che fa loro una proposta. “Ci innamoriamo – confida Pugliano – sempre del lavoro, anche quando arriva il brutto romanzo. A volte si tratta di sradicare il testo dal contesto, e trapiantarlo in un’ altra lingua, per riuscire a portarlo al lettore. Richiede concentrazione, capacità di stare con lo scritto, ma è anche un modo di ascoltare”.
I traduttori editoriali sono pagati a cottimo, con i compensi fra i più bassi d’Europa, con redditi cosiddetti ‘patchwork’ e in condizioni di precariato. Pur essendo a tutti gli effetti autori per la Legge 633/41, non hanno inquadramento professionale e non percepiscono royalties.
“Il reddito – racconta Pugliano ad Alley Oop – di una traduttrice editoriale si attesta fra i 15 e 18 mila euro lordi. La traduzione letteraria resta ‘a latere’, o per chi ha le spalle coperte dalla famiglia, non deve pagare il mutuo. Il lavoro si fa a casa, in libertà, di giorno e di notte. Firmiamo un contratto, e dobbiamo consegnare senza orari. Ragionando di minimi sindacali, ci sono giovani che accettano condizioni economiche non gratificanti, pur di entrare nel mercato”.
Dopo essere stati esclusi dal Decreto Cura Italia, il 31 marzo Strade ha lanciato la raccolta firme “Il Cura Italia non dimentichi la cultura”, chiedendo un fondo mirato. Il 16 ottobre Mibact ha annunciato che una parte (5 milioni) del fondo Cultura istituito all’interno del decreto Rilancio è stata destinata alle traduttrici e ai traduttori editoriali. Un “battesimo”, lo definisce Pugliano. Un primo necessario ristoro economico, che è occasione per essere finalmente visibili: “un decreto attuativo, con cui il Ministero della Cultura si è accorto di noi. Ci permetterà di fare fronte alle difficoltà, e chiedere tutele che hanno gli altri lavoratori e noi non abbiamo, come la previdenza. Aspiriamo ad avere un minimo sociale. Il nostro è un lavoro intellettuale”
In epoca Covid il traduttore editoriale è un mestiere che dovrà affrontare una crisi di lungo termine con oltre 2.500 titoli tradotti in meno nel corso dell’anno, come stimato da AIE, e le principali fiere e manifestazioni annullate. L’invio delle domande di contributo si è tramutata in una premessa per un primo censimento rilevante dei lavoratori che traducono in regime di diritto d’autore in Italia.
Il 15 dicembre Strade ha consegnato una lettera aperta al presidente della Repubblica e alle istituzioni, con un pacco contenente più di 70 libri, uno per ciascun politico, in Senato. Ha lanciato l’appello per l’istituzione di un fondo nazionale a sostegno dell’attività dei traduttori editoriali e della loro formazione per allineare l’Italia agli standard europei. Il modello di riferimento è il “Deutscher Übersetzerfonds” finanziato congiuntamente dai ministeri della Cultura e degli Esteri ed erogato direttamente ai traduttori.
Tra i firmatari del documento, premi Nobel, premi Pulitzer, autrici e autori di bestseller dal mondo e dall’Italia. Tra i volumi selezionati e consegnati, “La morte di Gesù” di John Maxwell Coetzee a Sergio Mattarella, “I vagabondi” di Olga Tokarczuk a Giuseppe Conte, “Kafka sulla spiaggia” di Haruki Murakami a Dario Franceschini, “Io non mi chiamo Miriam” di Majgull Axelsson a Liliana Segre, “Si diverte tanto a tradurre?” di Elio Vittorini a Debora Serracchiani, “La storia delle api” di Maja Lunde a Nicola Fratoianni, “L’alba è un massacro signor Krak” di Thomas Tsalapatis a Matteo Orfini, “L’invenzione delle nuvole” di Florian Illie a Vittorio Sgarbi.
“Un traduttore – conclude Pugliano – non arriverà mai a diventare famoso. Siamo sempre stati in questa zona all’ombra degli occhi di tutti”. E cita l’esempio di Lucia Morpurgo Rodocanachi (Trieste, 25 novembre 1901 – Arenzano, 22 maggio 1978) scrittrice, traduttrice segreta di alcuni dei principali scrittori italiani, tra i quali Vittorini, Gadda e Montale, che la chiamava la “négresse inconnue”. Il suo lavoro è rimasto nascosto, pagato poco e spesso in ritardo.
“A lei si devono le traduzioni dei grandi scrittori americani, che poi sistemavano Vittorini e Pavese. Montale le chiedeva la disponibilità a tradurre testi che non uscivano con il suo nome. Prendeva 500 lire, con la promessa che nella traduzione successiva ne avrebbe presi mille. Lei stava facendo un lavoro da negro. Quel lavoro che tanti traduttori fanno senza che compaia il loro nome sulla copertina o sul frontespizio del libro, come richiederebbe la legge sul diritto d’autore”.
Secondo il Nobel Olga Tokarczuk, firmataria della lettera, leggere gli stranieri è un vaccino contro le visioni del mondo precostituite e strumentali.