Traspare amarezza nelle risposte degli italiani che hanno partecipato all’ultimo radar Swg dedicato al vissuto delle persone nella seconda ondata della pandemia da coronavirus. I cittadini sono tristi, arrabbiati, a tratti confusi e impoveriti. Nessuna spinta all’unione e all’incoraggiamento, come accadeva la scorsa primavera – con le canzoni intonate dai balconi tutti insieme e gli striscioni con gli arcobaleni disegnati dai più piccoli – ma una crescente rabbia che si sfoga coinvolgendo le istituzioni, additati di avere mal gestito questa fase, e i cittadini che hanno messo in atto condotte poco responsabili.
Dal radar, che ha coinvolto campioni provenienti da quattro Paesi, risulta che le economie famigliari degli italiani (insieme a quelle francesi) sono state le più danneggiate dall’inizio della pandemia. Le conseguenze del Covid-19hanno ridotto lo standard economico del 35% dei nostri connazionali e solo i francesi se la passano peggio. A cercare di restituire una fotografia dei gravi effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria è anche la Caritas Italiana che, in occasione della giornata mondiale di contrasto alla povertà, ha pubblicato Gli anticorpi della solidarietà, un nuovo rapporto su povertà ed esclusione sociale nel Paese.
Secondo l’organismo della Cei nel periodo maggio-settembre 2020 l’incidenza dei “nuovi poveri” è passata dal 31% al 45% (rispetto allo stesso lasso temporale del 2019). Quasi una persona su due che si è rivolta alla Caritas lo ha fatto per la prima volta. Aumenta in particolare il peso delle famiglie con minori, delle donne, dei giovani, dei nuclei di italiani che risultano in maggioranza (52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e delle persone in età lavorativa. Rispetto allo shock economico del 2008 a fare la differenza è il punto da cui si parte: nell’Italia del pre-pandemia (2019) il numero di poveri assoluti è più che doppio rispetto al 2007, alla vigilia del crollo di Lehman Brothers.
Le chiusure penalizzano soprattutto le forme di lavoro informale. Il più precario e meno pagato ma pur sempre una forma di sostentamento. “La crisi da Covid-19 – dichiarava in maggio Philippe Marcadent, capo della divisione sui mercati del lavoro inclusivi dell’Organizzazione internazionale del lavoro – sta esacerbando le vulnerabilità e le disuguaglianze già esistenti”. Proprio secondo l’Oil, le misure di contenimento nel mondo faranno aumentare povertà e vulnerabilità per i due miliardi di lavoratori dell’economia informale. Nei paesi ad economia avanzata, si stima che i livelli di povertà relativa tra i lavoratori informali aumenteranno del 52%, nei Paesi a reddito medio-alto l’aumento è stimato in 21 punti percentuali. Più colpiti i lavoratori nei paesi a basso reddito dove questo valore sale al 56%.
La necessità di stringere la cinghia ha effetti anche sui consumi: in questa fase gli acquisti più gettonati secondo Swg hanno riguardato prodotti igienico sanitari e alimentari, con farina e lievito in testa. Crollate invece le spese per abbigliamento, arredi e carburante. Nel guardaroba invernale degli italiani quest’anno il riciclo e il low cost l’hanno fatta da padroni. Forse anche in mancanza di grandi appuntamenti mondani o impegni di lavoro. Il 47% del campione ha gestito il guardaroba invernale in maniera differente rispetto agli anni precedenti e l’81% di loro ha cercato di riutilizzare il più possibile gli abiti dell’anno scorso (con un picco dell’86% al Sud).
L’umore che si respira non è dei migliori, le emozioni che hanno contraddistinto questo periodo sono state incertezza, tristezza e, solo in terza posizione, speranza. Segue la paura. E in effetti il divario tra rischi reali e percepiti è alto. Entro il 7 di novembre a circa il l’1,4% dei cittadini italiani era stato di fatto diagnosticato il Covid-19 (con picco dopo gli 80 anni e soprattutto oltre in 90, dove sale al 3,6%) ma la percezione del rischio di contagio risulta molto più elevata: un cittadino su 4 ritiene molto probabile contrarre il virus. Probabilità peraltro maggiormente sentita dagli under 50, ovvero la fascia d’età alla quale il virus viene diagnosticato meno di frequentemente. Il livello di preoccupazione è sensibilmente più elevato rispetto a Francia e Polonia, pur non avendo una situazione di decessi per Covid-19 più critica. Su questa divergenza in parte incide il fatto che nel nostro Paese è piuttosto basso il grado di approvazione delle misure restrittive in vigore ed è anche ridotta, soprattutto al confronto di Germania e Polonia, la fiducia nelle capacità del governo di gestire efficacemente l’emergenza. Ad auspicare maggiori limitazioni sono il 57% degli italiani e il 61% francesi.
L’assestamento normativo in corso crea confusione: poco più della metà dei cittadini ritiene chiare le disposizioni in vigore nella propria regione e la quota diviene minoritaria a Nordovest e nelle Isole. Ci si fida solo dei medici, ma anche in questo caso, con numerosi distinguo e minore intensità. Inoltre, nemmeno su un tema sensibile come la corsa al vaccino anti-Covid si trova un percorso condiviso. Il 42% è pronto a vaccinarsi, il 34% non intende farlo (il 14% nemmeno se fosse obbligatorio), un quarto dei cittadini si dice ancora indeciso.
Opacità e incertezza portano alla luce sentimenti negativi e in tutto ciò non giova il rapporto con le istituzioni. In questa seconda ondata di Coronavirus il voto dato al loro comportamento, in una scala da 1 a 10, è 5,2. Insufficienza anche al governo (5) e alle opposizioni (4,2). Tutti rimandati, cittadini compresi. Per loro il voto è 4,6.