Una rivoluzione che parte dai numeri. E che è sempre più rosa.
Mirella Mastretti stringe la mano a una statua all’interno della Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera, su cui è posato un robot (scultura di Alex Guzzetti) con un volto di plastica trasparente, quello di una donna dagli occhi azzurri. I fili elettrici, che lo muovono, sono visibili. “Si possono fare innovazione e ricerca – dice la scienziata – così, mettendo insieme umanesimo, scienza, tecnologia e arte”.
C’è anche il suo ritratto nell’ambito del festival di fotografia “Todimmagina”, a Todi (fino al 25 ottobre), parte della mostra internazionale “Una vita da scienziata”, in cui sono esposte le fotografie di Gerald Bruneau, a cura di Fondazione Bracco. Dopo il tour in Italia e negli USA nel 2019, è ora allestita in parte all’Aquario Civico di Milano, nell’ambito del Palinsesto dedicato ai “Talenti delle donne” e in parte al Festival di Todi.
Una mostra per raccontare l’eccellenza delle scienziate italiane, e storie dei percorsi di vita e di carriera riguardano diverse discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Biologhe, chimiche, farmacologhe, ingegnere, astrofisiche, matematiche, chirurghe, paleontologhe, informatiche: sono solo alcune delle professioni delle scienziate fotografate. Gli obiettivi dell’esposizione sono di comunicare al grande pubblico le eccellenze femminili nella scienza, ispirando le giovani generazioni con “role models” avvicinabili e contribuendo al superamento degli stereotipi di genere che interessano ancora la pratica scientifica.
Mirella Mastretti è computer e data scientist. Esperta STEM, da anni si occupa di tematiche innovative sia in qualità di docente di alta formazione, sia di direttore innovazione e marketing strategico. E’ stata appena nominata Direttore Ricerca e Sviluppo di Medicaltech, azienda che si occupa di telemedicina. Fa parte del gruppo 100 Esperte (100esperte.it), lanciato dall’ Osservatorio di Pavia e l’associazione Gi.U.Li.A., con lo sviluppo di Fondazione Bracco e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Si tratta di una banca dati online, inaugurata nel 2016 con 100 nomi e CV di esperte di STEM, un settore storicamente sotto-rappresentato dalle donne e al contempo strategico per lo sviluppo economico e sociale del nostro paese. Nato nel 2016 per contribuire al raggiungimento delle pari opportunità, in cui il merito sia il discrimine per carriera e visibilità.
Accanto a questa e a due volumi editi da Egea, Fondazione Bracco propone, con la mostra “Una vita da scienziata”, una narrazione complementare, con l’obiettivo di avvicinare il grande pubblico al volto femminile della ricerca attraverso alcune delle più grandi scienziate italiane di oggi, e allo stesso tempo di rappresentare la scienza come bellezza, accessibilità e, perché no, divertimento.
Come si è sentita nel farsi ritrarre da Bruneau?
Mi sono trovata subito a mio agio. Gerald Bruneau è in grado di creare una sensibile sintonia con chi si relaziona con lui e credo che sia proprio per questo che sia riuscito a “raccontare” le nostre storie, catturando la nostra essenza non solo dal punto di vista professionale, ma anche come passione, interesse e femminilità. Si tratta infatti di un progetto nato per valorizzare l’ ”expertise femminile” in settori percepiti ancora come di dominio maschile. Un’iniziativa importante, di cui c’è necessità per guidare i giovani a seguire gli studi di tipo scientifico tecnologico, e che dà visibilità alle donne che si occupano di questa tipologia di studi.
Le donne che anche storicamente hanno sempre svolto un ruolo sono state bloccate o messe in disparte, quando c’era da raccogliere i risultati delle ricerche. Analizzando i dati, la Commissione Europea ha evidenziato che nel passaggio dal dottorato alla carriera accademica, la percentuale cade drasticamente. Vediamo sempre interviste ad esperti, che sono quasi sempre uomini, ma in realtà le donne si stanno occupando di questi ambiti.
Si sono condotti degli studi recentemente sul cervello umano, che hanno riscontrato come ci siano differenze a strutturali e funzionali tra uomo e donna. Ricercatori e ricercatrici americani hanno scoperto una differenza di di connettività strutturale: il maschile ha più connessioni all’interno di ciascun emisfero cerebrale, quello femminile presenta invece più interconnessioni tra l’emisfero destro e il sinistro. Questo sembra essere il motivo per cui le donne hanno una maggiore propensione a seguire contemporaneamente la logica e l’intuizione nel risolvere un problema. Questo significa che le donne hanno sicuramente caratteristiche utili e importanti per svolgere brillantemente attività scientifiche e di ricerca e che la collaborazione reale altri senza alcuna discriminazione di genere può decisamente portare a potenziare e a velocizzare i risultati scientifici. La discriminazione di genere rallenta la scienza.
Qual’è la sua storia?
Nasco come fisica cibernetica con Giovanni Degli Antoni, accademico e scienziato, direttore del Gruppo di Elettronica e Cibernetica, dell’Istituto di Cibernetica, del Dipartimento di Scienze dell’Informazione dell’Università di Milano. Con lui ho iniziato a occuparmi di progetti di ricerca. Poi mi sono innamorata di un’azienda, Italtel, dove sono andata a fare la ricercatrice, all’epoca guidata da Marisa Bellisario. Lei è stata una donna, una grande manager e visionaria, innovativa, che è riuscita a potenziare la ricerca in azienda. Quando arrivò all’Italtel le laureate erano al 5 per cento, e dopo di lei al 27 per cento. Esortò le donne a impegnarsi in materie tecnologiche. Quando sono entrata in Italtel, nella direzione centrale di ricerca e sviluppo, voluta da questa donna, ho avuto la possibilità di coniugare l’attività di ricerca accademica con quella industriale. Lì ho capito che volevo fare un’attività legata alle ricerca e all’innovazione e proprio con quella modalità: università/azienda.
Che cos’è per lei la scienza?
E’ un insieme di conoscenze in continuo divenire attraverso attività di studio, di ricerca, di calcolo, di osservazione e di interpretazione della realtà, mediante l’intuito, la correlazione con altre discipline e l’applicazione di procedimenti rigorosi.
Essere degli scienziati significa occuparsi di ambiti specifici, e continuare a portare contributi ed evoluzioni in un determinato campo della scienza e della conoscenza, in collaborazione con altre discipline. Sono computer scientist e mi occupo di aspetti informatici, di intelligenza artificiale. Ho fondato anche un’associazione di donne STEM e con questa sto portando avanti l’idea di un corso formativo che metta insieme ingegneri con i laureati dell’Accademia di Brera. Sono convinta che la creatività insieme alle competenze logico-scientifiche, possano influenzarsi reciprocamente, quasi per osmosi e quindi portare innovazione.
Applico un “modello rinascimentale” al mio percorso di studi e al mio lavoro. Non più solo specializzazione spinta, ma multidisciplinarietà e una visione olistica delle materie scientifiche che oggi si sta perdendo e alla quale si dovrebbe tornare. Soprattutto in medicina. Quello che mi entusiasma del mio lavoro è che sono convinta che l’intelligenza artificiale, attraverso la capacità computazionale che abbiamo oggi, può permettere di avere una visione più globale della persona. Gli algoritmi di intelligenza artificiale, che elaborano grandi moli di dati, riescono a curare meglio i pazienti.
La telemedicina è una rivoluzione che parte dai numeri
Esistono diverse definizioni di telemedicina. Quando parlo di telemedicina intendo una soluzione che offra strumenti di prevenzione, riabilitazione e continuità assistenziale. Parlo di dispositivi che offrono la possibilità di monitorare e analizzare il segnale cardiaco, offrendo la stessa qualità di prestazione ospedaliera anche da remoto. Allo stesso modo, durante le attività di riabilitazione è quindi possibile seguire i pazienti al proprio domicilio, definendo, con il medico di riferimento, percorsi riabilitativi personalizzati e in collegamento, real time, con l’operatore sanitario. Per la continuità assistenziale ci si indirizza a sistemi costituiti da APP, dispositivi medici, centrale di telemedicina e centro servizi, in grado di raccogliere in modo organizzato, semplice anche al domicilio del paziente, i parametri vitali e di correlarli con informazioni clinico diagnostiche, per esempio in caso di Covid, assistendo un paziente a domicilio. Queste soluzioni offrono una risposta al problema della cronicità Si pensi che il 40% degli italiani soffre di malattie croniche assorbendo l’80% delle risorse.
La telemedicina ha qualcosa di etico, limita la disuguaglianza alla salute. Ci sono persone che abitano in luoghi più sfortunati, anziani che non possono recarsi in ospedale, la telemedicina permette di seguire tutti. I monitoraggi con sensori, l’enorme quantità di dati raccolti hanno un valore pazzesco, se messi in relazioni con statistiche di malattie. Ma la macchina non è in grado di sostituire lo scienziato. L’intelligenza artificiale in medicina non sostituirà mai il medico, ma gli offrirà la possibilità di coordinare molteplici informazioni in un più esteso perimetro specialistico, quasi come un regista, in grado di gestire da solo una grande complessità.
Un report di Boston Consulting Group ha analizzato un campione di 9000 tra studenti e neolaureati, under 35, di dieci paesi per trovare le ragioni per cui 48 studentesse su 100 hanno una percezione negativa della scienza dei dati. Nonostante la scienza dei dati sia uno dei settori più caldi e in ascesa dell’economia, rimane un campo composto maggiormente da uomini, cosa che genera uno squilibrio a una minaccia alla crescita sostenibile della società.
Su 55 ragazze iscritte all’università, 35 sceglie un indirizzo scientifico-informatico, 25 lavora nel mondo scientifico attinente al titolo di laurea, e solo 15 diventa una data scientist.
Trasformare i dati in conoscenza significa lavorare anche sugli algoritmi. Noi potremo garantire l’uguaglianza con algoritmi di intelligenza artificiale, soltanto neutralizzando i pregiudizi algoritmici. Gli algoritmi sviluppati tendono a riprodurre gli stereotipi di genere amplificandoli. Se gli algoritmi li fanno solo gli uomini, i pregiudizi rimarranno anche negli algoritmi. Possono risentire di chi li ha progettati. Sono algoritmi di machine learning, in grado di apprendere dall’esperienza. Audrey Azoulay, direttrice dell’Unesco, aveva detto proprio questo. “Neutralizzando i pregiudizi algoritmici aiuteremo la tecnologia a servire la causa dell’uguaglianza delle donne”. Riuscire da avere più donne che lavorano nell’intelligenza artificiale è un obiettivo importante. Sarebbe corretto che una progettazione di algoritmi passasse tra uomini e donne. Le donne si laureano in modo brillante, veloce, sono brave ma poi il loro ruolo sparisce. E’ necessario essere presenti per garantire un’uguaglianza e neutralizzare pregiudizi algoritmici nell’intelligenza artificiale.