E’ come un richiamo, ed è più forte se ci vivi vicino. Ma non sempre chi risponde alla voce del mare lo fa per romanticismo. A volte è una tradizione di famiglia, a volte è una questione pratica. Quello che è certo è che le professioniste della pesca, o più genericamente del settore ittico, esistono, ma come in diversi altri ambiti occupazionali sono poco rappresentate. O meglio, per l’immaginario collettivo a pescare o a navigare sono soprattutto uomini.
Invece, secondo gli ultimi dati della Fao disponibili, che risalgono al 2015, “sebbene si stimi che le donne costituiscano quasi la metà della forza lavoro nel settore ittico, il loro operato spesso non viene riconosciuto e viene sottopagato, il loro accesso alle opportunità e alle risorse rimane limitato e la loro rappresentanza in posizioni di leadership resta ben al di sotto di quanto avviene in altri settori”. Insomma, niente di nuovo sotto al sole, neanche fronte mare.
Ma chi sono le donne che scelgono di realizzarsi professionalmente attraverso la pesca? Amanda Tiribocchi, 42 anni, è laureata in scienze biologiche a indirizzo ecologia. Lavora per la Cooperativa San Leopoldo a Grosseto. “Da bambina volevo fare la veterinaria, racconta. Ero appassionata di cavalli. Ho scelto un percorso di studi che però mi ha portato verso i delfini”. Dal 2005 Amanda Tiribocchi è socia-lavoratrice di una cooperativa di pescatori e con i suoi quattro colleghi, tutti uomini e laureati, svolge tra l’altro progetti di ricerca scientifica e progettazione nazionale ed europea, per esempio l’individuazione di strumenti di pesca più selettiva o assistenza ai pescatori per i finanziamenti.
Un mix di ricerca, pesca e gastronomia – gestiscono un laboratorio di gastronomia ittica. “C’è soprattutto fiducia e rispetto per i rispettivi ruoli, soprattutto con i pescatori a cui forniamo assistenza – afferma Amanda – Nonostante veniamo da formazioni professionali molto diverse, la passione per la nostra profesione ci fa parlare la stessa lingua. Faccio un lavoro che molti pensano da uomini, ma non è assolutamente così”. Un po’ più a nord, dall’altra parte della costa, c’è un altro mare. Limaccioso ma generoso.
Tra il Delta del Po e l’Adriatico. Qui vive Elisa Passarella, 42 anni, è la comandante del motopeschereccio “Nikita” e insieme alla sorella più piccola, ogni giorno, esce in barca, per la pesca delle vongole veraci. “Di questo lavoro mi piace il fatto di stare all’aria aperta. Partiamo la mattina presto, a volte alle 4, a volte alle 5, anche alle 7 dipende se la marea è alta o bassa. Si sta fuori al massimo cinque ore, poi si pranza insieme e si torna a casa e ho tutta la giornata davanti”.
Più a Sud, parecchio di più, sullo Stretto di Messina incontriamo le sorelle Donato, Antonella e Giusy. Nel 2012 hanno creato la cooperativa ‘I Mancuso’ associata a Confcooperative nello Stretto di Messina. Escono in mare con le loro due barche, organizzano escursioni di pescaturismo e preparano i piatti della tradizione a base dei prodotti ittici locali appena pescati. Laureate una in Lingue straniere, l’altra in Scienze politiche, le due sorelle di un piccolo comune nel messinese, hanno rilevato l’impresa di pesca del nonno materno, affiancando al mestiere più tradizionale di pescatore anche il pesca turismo.
”All’inizio la nostra iniziativa non è stata presa molto sul serio, ci dicevano che ci saremmo stancate subito ma ormai tutti si sono ricreduti“, raccontano Antonella e Giusy. “Con il pescaturismo abbiamo tantissime prenotazioni, organizziamo visite al borgo marinaro e lungo la costa e poi cuciniamo tanti piatti locali“, spiegano. Più che il freddo e lo sforzo fisico a ‘provare’ la resistenza delle pescatrici, confessa Giusy Donato, è stata la burocrazia: “appena diventata mamma, nessuno sapeva indicarmi la procedura per la maternità perché non era mai accaduto prima”.