Il boom delle riviste indipendenti

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Nell’ultimo decennio abbiamo assistito al boom delle riviste indipendenti, anche dette “indie mags”, nonostante il momento critico che sta affrontando il mondo della carta stampata più tradizionale. Ma cosa intendiamo per rivista indipendente? Lo abbiamo chiesto a Francesca Spiller, founder dello spazio Reading Room a Milano, attivo dal 2018: “Una rivista può essere indipendente perché non ha la pubblicità, oppure perché non appartiene a grandi gruppi editoriali. Considero indipendenti quei progetti che portano avanti una ricerca e una sperimentazione, soprattutto visiva”.

Questi magazine trattano i temi più disparati, dalla cucina ai viaggi, dalla letteratura alla fotografia, dal giardinaggio al lifestyle, dalla moda alla musica, trattati sempre in modo trasversale; quello che hanno in comune è l’estrema cura nelle fotografie, nelle illustrazioni, nell’impaginato grafico e anche nella carta sulla quale vengono stampati. Sono pubblicazioni biannuali o trimestrali, perché, come spiega Francesca “mettere insieme i contenuti per realizzare questo tipo di progetto editoriale richiede molto tempo. Non avendo la fretta di uscire ogni settimana, ogni mese, ci si concentra su ricerca, sperimentazione e approfondimento”. E proprio per questo motivo le riviste indie sono progetti senza scadenza, che resistono al tempo, quasi da collezione.

Chi acquista queste pubblicazioni? “Si tratta di addetti ai lavori, designer, architetti, stilisti, studenti, grafici, creativi ma anche appassionati (basti pensare alle riviste di musica e cinema), ma anche collezionisti (anche di copertine!)” racconta Francesca Spiller.

Se all’estero è da diversi anni che fioriscono negozi dedicati a queste pubblicazioni – basti pensare al negozio Do you read me? a Berlino aperto dal 2010 – in Italia l’interesse per le riviste indipendenti è relativamente recente e risale a pochi anni fa.

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Qui di seguito alcuni titoli per approfondire, insieme a informazioni utili sull’anno di fondazione, la provenienza e il tema trattato dalla rivista:

  • Kinfolk (2011, USA e Danimarca), lifestyle
  • Cereal (2012, UK) lifestyle e viaggi
  • Apartamento (2008, Spagna + Italia) interior design
  • MacGuffin (2015, Olanda) monografie su “oggetti banali”
  • Victory Journal (2010, USA), sport
  • Foam magazine (2001, Olanda) fotografia
  • The Gourmand (2011, UK) food
  • The Plant (2011, Spagna) giardinaggio
  • Luncheon (2016, UK) moda

Nonostante i nomi di queste riviste siano tutti decisamente anglofoni, sono invece diversi i progetti nati in Italia. Ecco alcuni esempi menzionati da Francesca Spiller:

  • Cartography (2016) viaggi
  • Suq (2018) viaggi in Sicilia
  • Sirene (2015) mare
  • Mousse (2006) arte contemporanea
  • Quanto (2019) letteratura

A cosa possiamo far risalire il successo di queste pubblicazioni? “In questi ultimi anni c’è stato un fiorire di queste produzioni editoriali, riconducbiili a due motivi: da un lato è molto più semplice stampare e realizzare una rivista, perché è possibile stampare in digitale. Quindi meno copie e costi bassi di produzione. In secondo luogo le redazioni sono diffuse, non c’è più la necessità di un luogo fisico. In aggiunta, potenzialmente c’è un pubblico maggiore perché anche se le riviste sono cartacee, quindi offline, tutte hanno una versione online, che sia il sito o il profilo instagram, in entrambi i casi davvero molto curati e coerenti con l’estetica della versione cartacea”.

Qui di seguito il link all’intervista integrale a Francesca Spiller durante la rubrica Instagram di Alley Oop #uncaffècon