Maturità 2020, i ragazzi chiedono: serve ancora studiare?

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Maturità 2020: tra dubbi, incertezze, proteste e controversie, il 17 giugno cominceranno gli esami di maturità per circa 13mila commissioni d’esame in tutto il paese. I maturandi quest’anno per la prima volta saranno ammessi anche con le insufficienze, anche se si sottolinea che queste verranno prese in considerazione al momento di attribuire il punteggio finale. Una delle poche concessioni offerte agli studenti, che quest’anno, come ben sappiamo, affronteranno una maturità anomala, un po’ sottotono, senza festeggiamenti nei corridoi della scuola, a salutare il chiudersi di una stagione della vita. Quella dello studente.

L’esame di maturità, in fondo, è uno spartiacque. Il momento in cui si passa dall’irresponsabilità dello studente alla responsabilità di qualunque cosa venga dopo. È una prova generale di responsabilità. Dispiace un po’, forse, pensare che i ragazzi quest’anno debbano viverla in modo così dimesso. Ma c’è un altro pensiero che dispiace ancora di più.

Se già in condizioni normali è difficile appassionare i ragazzi allo studio e far capire loro quali implicazioni fondamentali avrà nella loro vita, in questi mesi è stato ancora più difficile. Cosa avranno pensato vedendo riaprire i bar prima delle scuole? Mentre non avevano un luogo in cui convergere per sviluppare ed esercitare il pensiero critico, si sono trovati circondati da opinioni e notizie isteriche, in balìa, appunto, dei discorsi da bar. Si saranno legittimamente chiesti, più di quanto immaginiamo: serve ancora studiare?

Abbiamo posto questa domanda al professor Enzo Pellegrini, fotografo e professore di lettere. Che ci ha risposto con decisione: “A maggior ragione serve studiare. Lo studio non è un’attività secondaria. Studium in latino significa amore. e studere significa applicarsi con amore. Senza l’amore della conoscenza, indubbiamente l’uomo è menomato. Perchè la nostra vita deve tendere alla scoperta“.

Da cosa dipende allora il fatto che nei ragazzi ci sia per definizione così poco interesse e amore nei confronti dello studio? Una indagine dell’OCSE PISA del 2015 ha esaminato come il rapporto tra docente e alunno influenzi il senso di appartenenza dei ragazzi alla scuola, il loro benessere e persino il loro rendimento scolastico. L’Italia si è confermata ben al di sotto della media mondiale in tutte le voci, mostrando studenti mediamente stanchi della didattica frontale e docenti poco motivati. Non può essere dunque colpa dei programmi scolastici e degli autori da studiare.

I ragazzi ritengono Manzoni noioso e Dante illeggibile? Secondo il professor Pellegrini tutto dipende da come si studia: “Ogni materia, ogni disciplina di studio deve costruire innanzitutto una metodologia critica. Ho sentito docenti lamentarsi perchè gli allievi non arrivano a capire. Ma la responsabilità non è degli allievi“. Nelle parole di questo docente innamorato dell’insegnamento, i ragazzi sono sempre al primo posto, non per assecondarli, ma per educarli. Per questo motivo, non riesce a dare la colpa del loro disinteresse all’età o alla leggerezza dell’essere ragazzi. Punta piuttosto il focus verso i luoghi decisionali e afferma: “C’è bisogno innanzitutto di una classe dirigente preparata. Non informata, preparata. Quando la scuola va male è perchè va male la società“.

Non c’è tanto da chiedersi se serva ancora studiare, quanto piuttosto: come si fa a studiare? Chi ci insegna a studiare? In questo momento in cui tutta la didattica è messa in discussione si potrebbe approfittare per rispondere con un nuovo slancio a questi quesiti. Nell’intervista realizzata in diretta Instagram da Alley Oop, il professor Pellegrini offre degli spunti interessanti e appassionati per i docenti, per gli studenti, per tutte quelle persone che, deluse da un sistema scolastico che troppo spesso si smarrisce tra burocrazia e superficialità, hanno bisogno di ricordare che la scuola, in fondo, è una sola: docente e allievo.