L’incertezza sull’evoluzione della pandemia da coronavirus rende qualsiasi previsione a lungo termine particolarmente ardua. In mancanza di un vaccino o un’altra soluzione farmacologica, la Harvard TH Chan School of Public Health crede che misure più o meno marcate di distanziamento sociale continueranno fino ad oltre il 2022, con ovvie ripercussioni sullo ‘normale’ svolgimento di attività sociali ed economiche – nonché pedagogiche, mondo universitario incluso.
Nel Regno Unito, l’università di Cambridge ha già annunciato la sospensione di lezioni in sede, con la possibile esclusione di seminari con un numero ristretto di partecipanti. La City University of London, si sta attrezzando per fornire corsi a distanza, secondo Guglielmo Volpe, professore di educazione economica a City. La distance learning, nota Volpe, è già stato introdotto dall’ateneo con risultati incoraggianti, nonostante la situazione di emergenza in cui i moduli sono stati preparati, con il rendimento degli studenti in linea con la qualità tipica per quanto riguarda ‘papers’ consegnati e lavori di gruppo eseguiti, appunto, a distanza.
Fornire lezioni in modalità remota apre nuove possibilità, sia per quanto riguarda l’accesso ad un’educazione di qualità e di un certo nome (il branding nel mondo accademico rimane importante) eliminando, almeno parzialmente la necessità di un trasferimento all’estero o in un’altra sede; sia per quanto riguarda l’aggiornamento delle proprie conoscenze dopo la laurea per facilitare un salto di carriera o per muoversi lateralmente tra varie possibili professioni.
Certo, sarà difficile – forse impossibile – replicare online la rete di contatti, l’atmosfera e l’aria che si respira in università. L’esperienza in ateneo gioca un ruolo importante nel formare le menti e le professioni del futuro. Ma la forzata attenzione a canali e metodi pedagogici alternativi potrebbe essere uno dei risvolti più interessanti di questa devastante crisi.