Come si può implementare la risposta della comunità internazionale di fronte ad un disastro o ad una catastrofe? Come si può rendere la risposta del personale medico e paramedico più efficace e rapida? In questi giorni di preoccupazione e angoscia per la diffusione del Coronavirus, la soglia di attenzione e la sensibilità verso i temi della salute pubblica hanno avuto una tale impennata, da sfiorare spesso la psicosi.
Queste sono le domande con cui esordisce un video realizzato nell’ambito del progetto TEAMS cui ha collaborato la training specialist italiana Daniela Martini, esperta della formazione del personale che compone gli staff che vanno ad operare sul campo, in emergenza. Il prodotto finale è al momento usato dall’Unione Europea, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da 23 Ministeri della Salute nel mondo.
E’ interessante conoscere la risposta alle domande del video. “Con preparazione ed esercitazioni”. Quindi, studiando e attrezzandosi. Questi sono i primi necessari strumenti da utilizzare per non farsi prendere dal panico e dall’isteria. Conoscere, dunque, studiare, prepararsi ed esercitarsi per gestire il previsto nell’imprevisto e far fronte anche a ciò che può cogliere di sorpresa.
«Il progetto si chiama TEAMS e – racconta Daniela Martini, appena tornata dall’Estonia – insieme al mio gruppo di ricerca, abbiamo creato una piattaforma con simulazioni ed esercizi (tutto open source) per preparare le squadre di medici di emergenza ad andare in zone di emergenze e di conflitto. Abbiamo praticamente creato un training of trainers e, quando richiesto, dai vari governi, ci attiviamo per valutare di persona le varie simulazioni sul field».
Nel progetto TEAMS, finanziato da Unione Europea, Daniela Martini era il focal point per CRIMEDIM (Research Center in Emergency and Disaster Medicine, Università del Piemonte Orientale), lavorando con il suo gruppo e con altri sette partner europei.
«Lavoro a Ginevra, all’Organizzazione Mondiale della Sanità – spiega Martini, che di recente ha anche preso il Diploma di Assistenza Umanitaria Internazionale, rilasciato dall’Università Americana Fodham e dal sistema Nazioni Unite – dove mi occupo della formazione sia attraverso corsi on line che con lezioni frontali. Sono istructional designer, ovvero scrivo i corsi e training specialist. Mi sono specializzata in training per le emergenze perché ho lavorato per le Nazioni Unite proprio nel dipartimento delle emergenze e ho fatto un Master in Disaster Management. È stata una passione che mi ha permesso di unire quello che avevo studiato ad un aiuto concreto sul campo».
«Con il task team con cui lavoro – prosegue – abbiamo messo su una piattaforma di e-learning, dove andiamo ad inserire dei corsi on line e tra gli ultimi inseriti ci sono stati quelli rivolti al personale medico, infermieristico e agli esperti di logistica, che attraverso l’OMS andava in Congo ad affrontare l’emergenza dell’Ebola, sia quella del 2014 che quella ancora in corso. Si tratta di personale proveniente da tutto il mondo. Non c’era tempo da perdere bisognava fare il prima possibile e non c’era tempo di fare delle simulazioni, per cui bisognava formarsi velocemente».
E negli ultimi tempi l’attenzione non poteva non riguardare anche il Coronavirus. «Ho coordinato la stesura del testo con un gruppo di medici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e ho lavorato con grafici per mettere insieme il corso. Il modulo è open source, accessibile a chiunque voglia saperne di più sul virus. Lo stanno traducendo in tutte le lingue ufficiali dell’ONU».
La passione di Daniela per quello che fa è evidente nelle parole che pronuncia, e nel calore che riporta. Negli scenari drammatici, che si possono realizzare ad ogni angolo del pianeta, persone come lei fanno la differenza. E fa piacere scoprire che ci sono là dove dovrebbero essere. La sua empatia – ancora intatta dopo tanti anni e tante esperienze vissute – e la sua capacità di anticipare le esigenze, di fornire strumenti e di interfacciarsi con culture di tutto il mondo possono essere un aiuto e un sostegno utile in mille situazioni differenti. Viaggia da un estremo del globo all’altro (per chi volesse seguirla, questo è il suo blog) da dove riporta un bagaglio sempre arricchito.
Nella sua biografia si legge che ha studiato e lavorato in Irlanda, Colorado, Estonia, New York e Svizzera, vivendo diverse avventure, ed è stata volontaria in India, Laos e Vietnam. «Ho un quaderno pieno di storie da raccontare – scrive – e ho trovato l’amore nei posti più strani. Lungo la strada mi concedo le mie passioni per il design, lo snorkeling, le immersioni subacquee, l’equitazione, lo yoga». È stata l’esperienza del 2015 in Sierra Leone a consentirle di mettere in pratica ciò che prima avete studiato solo come teoria.
«Lì ho potuto vedere come si operava in condizioni di emergenza – precisa – dovendo mettere in campo tutte le procedure in ogni settore, da quello medico a quello dell’istruzione. Mi piacerebbe approfondire proprio quest’ultimo settore perché l’educazione in emergenza è forse l’unico supporto psicologico, l’unico rifugio soprattutto per i più giovani per evitare che vengano “assorbiti” – diciamo così – in altri contesti come droga o prostituzione».
E l’emergenza è differente dalla quotidianità – pur sempre drammatica – di un paese in via di sviluppo, senza stabilità economica o politica, né risorse. Alla fine del 2019 Daniela Martini è stata in Vietnam, in supporto ad un programma di educazione di un’ONG in qualità di consulente, in un ambito chiamato “Humanitarian setting and development”.
«In Vietnam ho scoperto un entusiasmo straordinario per questo programma di istruzione – conclude – che non potevo immaginare. Tutti erano desiderosi di imparare, di poter usufruire al massimo di questa opportunità, erano persino disposti a dormire su materassi in strada perché in molti casi venivano da molto lontano. Io francamente non pensavo che ci fossero ancora situazioni del genere».
«La condizione delle donne in Asia è ancora assai indietro – aggiunge – infatti ci sono numerosi programmi di women empowerment. A molte bambine è precluso l’accesso allo studio, riservato quasi sempre soltanto ai maschietti. Le bambine restano a casa. Insomma, c’è ancora tanto da fare».