“Una grande opportunità: per crescere, farci conoscere, metterci tutti alla prova“. Parole che suonano in maniera diversa, se dette da una campionessa che s’è ‘messa alla prova’ macinando sugli sci di fondo 10 mila chilometri all’anno, lei che in gara era un scricciolo di meno di 160 centimetri e ben poche decine di chili. Saluta così, Stefania Belmondo, l’assegnazione a Milano-Cortina dei Giochi Olimpici invernali del 2026. Come dire che quelle Olimpiadi sono fin d’ora, per il nostro Paese, onore e onere al tempo stesso. Racconta le sue imprese olimpiche (e mondiali..) dal palco della 15esima edizione del Premio ‘Rocky Marciano’ a Ripa Teatina, vicino Chieti (cittadina da cui il padre del mito del pugilato partì, all’ inizio del secolo scorso, per cercar fortuna in America), dove le è stato conferito il riconoscimento che ogni anno va a chi ha fatto grande l’italia nel mondo. Racconta, Stefy, a una platea incantata nel vedere grinta e cuore di questa piccola grande italiana che seppe fare doppietta olimpica a 10 anni di distanza (Albertville92-Salt Lake City2002), superando fatica, infortuni, bastoncini spezzati in gara (nel 2002) e anche…furti degli sci (sempre negli States, alla vigilia del secondo successo olimpico, quando ritrovò solo dopo un paio di giorni, vicino a un cassonetto della spazzatura, gli attrezzi che l’avrebbero poi guidata sul gradino più alto del podio).
Spende parole che suonano come carezze, Stefania, per le stelle che oggi brillano su ghiaccio e neve, quelle Goggia, Fontana e Moioli diventate come lei trionfatrici olimpiche, e poi anche decisive dell’assegnazione dei Giochi 2026. “Ragazze splendide, che rappresentano una nuova Italia, più aperta e moderna, ma non amo troppo la distinzione tra sport azzurro e rosa: lo sport è uno, e in gara siamo tutti uniti nel rappresentare il tricolore“, sottolinea sorridente ed emozionata, mentre riguarda scorrere sul maxi schermo le immagini di Torino 2006, quando nell’Olimpiade di casa fu proprio lei, cuneese, ad accendere il tripode olimpico.
“Ancora oggi incontro spesso i ragazzi nelle scuole – sottolinea – e il messaggio che trasmetto è soprattutto un invito alla speranza, a credere nei propri sogni, ma costruendosi ogni giorno con sudore e sacrificio, e senza cedere alla scorciatoia del doping, che è il grande nemico e impostore, oggi come lo era quando gareggiavo“. Poi sono applausi, sorrisi, selfie, brindisi e…arrosticini (come tradizione locale vuole!): neanche fosse Deborah Compagnoni cui – appena infortunatasi al ginocchio – dedicò l’oro di Albertville, Stefy slalomeggia alla grande tra calici e griglia, cedendo invece con sorridente pazienza all’abbraccio dei tanti tifosi che ancora oggi vedono in lei un’emblema dell’Italia migliore.