La più diffusa carenza nella lotta alla violenza sulle donne? Riguarda la protezione dei minori sia quando assistono alla violenza domestica sia quando essi stessi sono vittime dell’uomo maltrattante che li usa per punire la sua attuale o ex compagna, che è anche la madre dei bambini . E’ uno dei fil rouge che legano tutti i report finora emessi dal Grevio, il gruppo di esperte ed esperti indipendenti che vigila sull’attuazione della Convenzione di Istanbul sulla lotta alla violenza nei confronti delle donne da parte degli Stati che l’hanno ratificata.
La debolezza riscontrata nella protezione dei minori, soprattutto quando in sede di giustizia civile bisogna decidere sulla loro custodia, emerge anche nel carente raccordo tra procedimenti penali e civili che riguardano lo stesso caso di violenza. Per capire la portata del fenomeno in Europa, basti pensare a un numero, esemplificativo. In Francia, Paese che pur vieta la mediazione familiare nelle vicende di violenza, nel 2017 si contano 30 minori uccisi in simili casi. Basti ricordare, in Italia, il caso, emblematico e indimenticabile, di Federico Barakat che il 25 febbraio del 2009, a soli otto anni, veniva ucciso per mano del padre, in occasione di uno degli incontri protetti che il bambino era costretto ad affrontare nonostante il suo rifiuto di frequentare l’uomo che aveva maltrattato la madre.
“La questione dei minori – afferma Simona Lanzoni che è parte dei 15 esperti del gruppo Grevio – è un problema un po’ ovunque, non c’è abbastanza consapevolezza della violenza assistita e/o testimoniata. E c’è ancora vivo nella cultura di molti il diritto alla patria potestà, nonostante sia stato abolito a livello legislativo. Il concetto cioè che il padre sia il padrone del figlio. In alcuni casi i giudici tendono a salvaguardare il diritto del padre a mantenere i rapporti con il figlio o la figlia, anche contro la loro volontà, finché non ci siano tutte le prove della sua colpevolezza come autore della violenza nei confronti della madre dei minori o sui minori stessi. Ma i processi sono lunghi, e il minore che continua a vedere il padre maltrattante, può essere nel frattempo distrutto psicologicamente. Con il rischio di diventare o una potenziale vittima o un aggressore oppure una persona che può andare incontro a situazioni di dipendenze da alcol, droga o a depressione”.
Al momento Grevio ha concluso, tutti con raccomandazioni, i rapporti sulla lotta alla violenza di genere per Albania, Austria, Danimarca, Monaco, Montenegro, Portogallo, Svezia, Turchia. E sta preparando quelli su Serbia, Olanda, Finlandia, Francia e Italia. Solo per fare un esempio sul comune deficit di protezione per i minori, nel report sull’Albania si legge che “gli episodi di violenza sono presi in considerazione nella determinazione dei diritti di custodia e visita dei bambini”, ma si dice anche che non c’è una cornice legislativa conforme ai dettami della Convenzione di Istanbul che all’articolo 31, paragrafo uno, prevede proprio che le parti adottino “misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione”.
Il caso italiano
E l’Italia? Secondo il rapporto di Save the Children del 2018, nel giro di cinque anni, 427mila minori hanno visto e vissuto la violenza tra le mura domestiche nei confronti delle loro mamme. Non ci sono dati puntuali, invece, sui minori vittime di violenza o uccisi per mano del padre. Mettiamo per il momento da parte il tanto criticato ddl Pillon sull’affido condiviso che avrebbe conseguenze negative in tema di violenza e protezione dei minori, e guardiamo alle sole leggi vigenti: si nota che, già a bocce ferme, il quadro è frammentato, manca una cornice unitaria. Come emerge dall’ebook “#Hodettono 2“ edito da Alley Oop-Il Sole 24 Ore l’8 marzo scorso, sul versante legislativo le carenze principali riguardano proprio i minori vittime di violenza assistita, come ha denunciato il giudice Giuseppe Spadaro. “Nel nostro Paese – ha detto Spadaro – non esiste una normativa specifica e pertinente al problema della violenza assistita dai minori, nonostante la dimensione e la diffusione della problematica a livello nazionale e internazionale”. Molto si potrebbe fare in tema di applicazione della legge, lavorando sulla formazione degli esperti che vengono in contatto con le donne vittime di violenza. E ci vorrebbero innanzitutto più giudici esperti di violenza che non applichino stereotipi in momento storico cruciale per i diritti delle donne e dei bambini.
Sul tema farà sicuramente luce il rapporto Grevio che analizzerà a 360 gradi la risposta del nostro Paese al problema della violenza di genere, ma che non arriverà prima di maggio-giugno dell’anno prossimo. Intanto ci sono stati ben sei rapporti ombra al Grevio, preparati da varie associazioni, che fanno il punto su temi specifici della violenza. Tra questi ce n’è uno, quello redatto da un gruppo di professionisti del settore, che si focalizza proprio sulle procedure dei tribunali civili e minorili nei casi di custodia dei bambini nelle vicende di violenza domestica. Secondo avvocati, psicologi, figure apicali dei centri anti violenza (tra i quali la psicologa Elvira Reale la presidente di Udi di Napoli Stefania Cantatore, l’avvocata Ida Grimaldi, lo psichiatra Andrea Mazzeo, la presidente dell’associazione ‘Federico nel cuore’ Antonella Penati) “gli obiettivi della giustizia penale non sono complementari agli obiettivi della giustizia civile che richiede, specialmente per quanto riguarda i bambini, tempi stringenti e decisioni rapide nel loro ‘interesse supremo‘”. E ancora gli esperti valutano che “il tribunale civile e quello dei minori non hanno recepito i dettami della Convenzione”. Si nota “il perdurare di procedure stratificate e inappropriate (supportate da vere e proprie lobby di consulenti) che ostacolano l’emergere della violenza nei nostri tribunali e penalizzano le donne vittime della violenza e dei loro figli”.
La strada da percorrere per la protezione dei minori è ancora lunga, su tanti fronti. Ma chiudiamo con una nota positiva: un recente progetto della cooperativa sociale Orsa Maggiore di Catania che mette al centro proprio minori e donne vittime di violenza. “L’idea – spiega Manuela Marchioni, amministratrice di Prodos Consulting, società di europrogettazione che ha fatto da supporto al progetto – è nata dall’osservazione di un problema sociale ancora sommerso, specie al Sud. L’obiettivo è di tutelare il benessere relazionale e la salute psico-fisica di bambini e adolescenti testimoni di abusi nei confronti delle madri, attraverso lo sviluppo di un sistema di accoglienza e presa in carico delle vittime di violenza intra-familiare”. Le attività, e anche questo è un elemento costruttivo che fa ben sperare, si terranno nei locali di un immobile ad Aci Catena, confiscato alla mafia e dato in concessione alla cooperativa per 10 anni.