Caro Antonio,
Non ti conosco. Non ti conoscevo. Colpevolmente non conoscevo nemmeno Europhonica. Io, appassionata come te di Europa, di giornalismo, sempre alla ricerca di fonti di informazioni alternative e progetti innovativi di comunicazione, non avevo mai sentito parlare di questa radio che racconta con linguaggio semplice la politica europea. Che lo fa in diverse lingue.
Conosco qualcuno che ti conosceva. Ma anche queste persone le ho incontrate solo di sfuggita nel mio percorso politico, o in un breve scambio di opinioni su Facebook.
Eppure, caro Antonio, mi sembra di conoscerti da sempre. Quel tuo sorriso nelle fotografie che ti hanno reso famoso dopo l’11 dicembre, quando lottavi tra la vita e la morte. Quegli scatti, probabilmente rubati da un tuo profilo social, ti hanno fatto diventare un simbolo. Per me quel tuo sorriso, quella tua voce che mi sono andata a riascoltare, si sono materializzati al fianco dei miei ricordi. Ti sento seduto alla scrivania accanto alla mia quando a 24 anni facevo il mio primo stage nella redazione web di Radio Radicale. Ti percepisco a camminare con me per le vie del centro di Londra, mentre un caldo sole autunnale illumina la marcia per il secondo referendum sulla Brexit del 20 ottobre.
Sei seduto con me mentre con amici e amiche ci sfidiamo intellettualmente sul senso politico e istituzionale di quel secondo referendum. Forse, se affilo lo sguardo, stai anche camminando accanto a me per le vie di Londra mentre con i miei colleghi tedeschi, francesi, portoghesi ci avviamo verso un pub a smaltire con la birra la tristezza infinita della Brexit. Stai piangendo anche tu, Antonio? O stai già pensando al prossimo servizio radiofonico, alle parole da scegliere e alle parole da dire a qualche amico che – ammirando la tua esperienza e competenze – ti chiede di spiegargli questo strano momento politico che stiamo vivendo in Italia, in Europa, nel mondo.
Perché sento tutto questo dolore ora che sei morto? Io non penso che tu sia un eroe. Non sei stato ucciso in quanto sognatore concreto degli Stati Uniti di Europa. Sei stato ucciso perché una follia ideologica e populista e violenta ha penetrato la mente e il cuore di un nostro coetaneo. La sua ideologia violenta è quella dell’Isis. La sua violenza ti ha colpito per caso, in quel caso che forse si chiama Samarcanda. Eppure sei diventato un simbolo di forza e coraggio per molti di noi. Qualcuno ha smesso di chiamarci “Generazione Erasmus” e ha deciso di chiamarci “Generazione Megalizzi”. Forse i tuoi amici e le tue amiche direbbero che sorrideresti di questa nuova etichetta.
Abbiamo davvero bisogno di etichette e simboli e eroi? Non lo so. Abbiamo bisogno di piangere un po’ perché la tua passione non era solitaria. La tua passione, i tuoi sogni, il tuo modo di leggere la vita non erano solitari.
Poche ore dopo la tua morte ho fatto una cosa che avevo in mente da un po’, ma non mi ero ancora decisa a fare. Sono andata sul sito di Più Europa e ho completato la mia iscrizione al partito che prima delle elezioni del 4 marzo è stato creato dalla tua Forza Europa, dai miei Radicali Italiani e dallo sparigliamento di Centro Democratico. Quel partito che sta prendendo forma in queste settimane e che mi ha fatto conoscere tante persone in Italia e in giro per l’Europa che non provengono dalle tre storie originarie dei movimenti fondatori, ma piuttosto da un impulso di alcune persone come me e come te, Antonio. Persone che non si accontentano della spiegazione più facile, del confine fisico o politico, ma che cercano la ricerca, che credono non tanto che un altro mondo sia possibile, ma che questo mondo lo possiamo migliorare tutti insieme.
Non ci siamo mai conosciuti tu e io, Antonio. Ma pare che tu e io avessimo questa passione comune per Più Europa.
E allora ho voluto indossare un pezzo minuscolo delle tue scarpe. È stato finalmente il momento giusto per un atto simbolico, iscrivermi al partito che – con te da lontano – abbiamo visto nascere. E questo piccolo simbolo mi serve a dare concretezza alla sensazione che mi resta da quando sei morto. Che se non fossi stato ucciso prima o poi forse le nostre strade si sarebbero potute incrociare.
Viviamo immersi in contesti che ci vogliono far credere che il sogno europeo sia una brutta creatura fatta di burocrati senz’anima. Sei stato adolescente, come me o poco dopo di me, in un tempo in cui la cittadinanza europea sembrava solo uno slogan delle campagne istituzionali progettate da un team comunicazione del Parlamento Europeo. E siamo diventati grandi in questo strano momento storico in cui le bandiere europee invece sventolano alte, forse troppo poche ma sempre più numerose, dalle finestre di Londra, nelle piazze d’Europa.
Tu sei morto. Io non ti conosco. Io forse, ma non credo, posso solo immaginare il dolore della tua famiglia, dei tuoi amici, dei tuoi colleghi. O forse, quel dolore non lo posso nemmeno immaginare. E mi scuso con te e con loro per averlo anche solo pensato per un attimo. Ma, caro Antonio, dall’11 dicembre permettimi di prendere sulle spalle un pezzo del tuo sogno.
Ti ho riconosciuto. Spostiamo ora un po’ di montagne insieme.