Quanto può essere forte l’amore di una madre per il proprio figlio? Ma soprattutto quali e quante risorse inaspettate può mettere in moto? A guardare Fabiola, una mamma davvero speciale, sembrerebbero davvero infinite. Grande sorriso, entusiasmo travolgente e uno sguardo sereno che si illumina quando parla del suo Jaya. Le abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia. Una storia davvero speciale, perché Fabiola non solo ha affrontato con coraggio e spirito di intraprendenza la malattia di suo figlio, ma si è messa totalmente in gioco, rimettendosi a studiare e diventando una “paziente esperta” a livello europeo per poter aiutare anche altre famiglie e altre persone con la stessa diagnosi.
Sono Fabiola, madre di un ragazzino appena maggiorenne – Jaya Alberto – che io e mio marito abbiamo adottato in Nepal quindici anni fa. Dopo due anni dal suo arrivo in Italia, Jaya ha cominciato a camminare in modo strano e a soli 10 anni è finito sulla sedia a rotelle. Un percorso non facile né per Jaya, né per noi neogenitori, nonché per tutta la nostra famiglia. Eppure, se mi guardo indietro e, proprio oggi, giorno del 15° compleanno della mia maternità, rifletto sui cambiamenti che questo “Sì alla Vita” ha portano nella mia e nella nostra esistenza, resto senza parole davanti alla meraviglia della vita e alla mia fortuna!
Dopo un primo momento di dolore e smarrimento, abbiamo deciso di reagire positivamente, affidandoci alla Provvidenza che aveva previsto un percorso un po’ diverso per noi e per Jaya. Ricordo ancora precisamente il momento in cui per la prima volta ho visto quella piccola creatura che camminava tutta incerta, con il muco che gli scorreva già dagli occhi bellissimi, per entrare nella stanza in cui avrebbe incontrato due genitori emozionatissimi! Così, questo piccolo Armageddon è entrato nelle nostre vite, nella nostra famiglia. Ricordo, in quel momento, di aver sentito una strana voce dentro di me dirmi che era malato, e di aver risposto “sì, va bene lo stesso. Lui è mio figlio!”. Questo “sì” alla Vita, questo “affidarsi e fidarsi della Vita” ci ha regalato molta energia positiva che avremmo travasato più tardi, dopo la diagnosi, in famiglia, fra gli amici, fra gli altri pazienti con la stessa patologia e i molteplici specialisti con i quali abbiamo iniziato a lavorare, selezionando un team di eccellenze italiane e internazionali intorno al nostro Jaya, in modo tale che potesse beneficiare delle migliori cure assistenziali per mantenere al meglio (e, perché no, migliorare) le sue capacità funzionali. E così è avvenuto: oggi Jaya è sì sulla sedia a rotelle, ma ad ogni check-up (ne facciamo uno ogni trimestre) non è mai stato registrato un peggioramento. Anzi, si sono susseguiti piccoli ma costanti miglioramenti che ci hanno fatto gioire ogni volta di più, diffondendo anche tanta speranza tra pazienti, medici, fisioterapisti, insegnanti, etc.
Oggi Jaya ha appena compiuto 18 anni, ha iniziato il quinto anno di liceo scientifico ed è impegnato a studiare per l’esame di ammissione alla facoltà di Ingegneria biomedica al Politecnico di Milano. Oggi, proprio mentre sto scrivendo queste riflessioni, mi ritrovo a preparare il mio intervento per una conferenza a Nizza a cui sono stata invitata come speaker dalla AFM (una onlus di vaste proporzioni paragonabile al nostro Telethon) per spiegare ai pazienti francesi quali sono gli orizzonti della ricerca nel campo della distrofia di cui sono diventata un “paziente esperto”. Ripercorrere 10 anni di studi, congressi, attività in associazioni di pazienti in Italia e a livello internazionale, non è facile in poche righe. Questo flash-back mi fa molto riflettere sulle energie messe in campo per affrontare tematiche e ambiti all’inizio per me totalmente ignoti, come le associazioni di pazienti, la genetica, la fondazione di una federazione di associazioni europee sulla FSHD (FSHD EUROPE), il coinvolgimento in organizzazioni in campo neuromuscolare locali come la www.uildm.it o mondiali come TREAT-NMD Tanti passi, tanto impegno, tante soddisfazioni e anche tante delusioni, ma soprattutto la Speranza e l’Amore per mio figlio e per le persone che hanno un problema di disabilità.
Come è avvenuto negli anni il passaggio dallo zero iniziale, ossia l’ignoto e la disperazione, a oggi (la pienezza e la continua progettualità)? Attraverso una serie di “sì” ripetuti, a partire da quel meraviglioso giorno in cui sono diventata mamma. Tanti “sì” pronunciati anche con grande fatica, ma sempre più sull’onda di quel caloroso senso di fiducia nella Provvidenza e nella Vita. Il resto è venuto da sé…
Ne parlavo proprio recentemente con delle amiche mamme, anch’esse coinvolte in quella miriade di problemi che hanno tutte le mamme e i papà. Insieme abbiamo concluso che ci vuole davvero una buona dose di follia per affrontare l’ignoto, e che non c’è niente di più incerto e di impattante sul fronte emotivo della genitorialità. Eppure, ci siamo dette, senza quel pizzico di “follia d’amore”, tutti noi staremmo sempre fermi, saremmo sempre uguali a noi stessi, cristallizzati nelle nostre vite. Per me e mio marito, quel piccolo atto di follia espresso nel voler tenacemente diventare genitori, e genitori adottivi, ha spalancato un mondo, ci ha resi consapevoli delle nostre possibilità. Se qualcuno mi chiedesse, oggi, qual è stata in assoluto la più grande gioia della mia vita, risponderei senza alcuna esitazione “diventare madre”. E se mi si chiedesse qual è stata la mia esperienza più dolorosa, ancora risponderei “diventare madre”. La vita è gioia e dolore. L’amore, per me, è “dinamismo,” come un domino dove ogni tassello è collegato al precedente e al seguente. E questo moto scaturisce tutto da un “sì”.
Le tre cose che ho imparato? L’argomento meriterebbe un libro, e non è escluso che prima o poi lo scriverò… Ho imparato che non c’è niente di più travolgente (disruptive, si dice adesso) della Vita, e che se ti lasci travolgere rispondendo ad essa con la forza dell’Amore, l’Amore trasforma tutto in Bellezza. Mi sono ritrovata il figlio che non avrei mai potuto desiderare con maggior specificità, perché la fantasia umana ha dei limiti, e io, che pur sono una persona fantasiosa, non avrei mai potuto immaginare un figlio più perfetto di Jaya per me, per noi.
Ho imparato che mi piace aiutare gli altri, anzi non c’è cosa che mi piaccia di più nella vita che essere utile agli altri: in questo caso famiglie di pazienti che non sanno da che parte iniziare e che non hanno la forza per mettersi in cammino. Ho imparato che le bioscienze e la genetica mi appassionano e che voglio continuare a studiarle, come ho già fatto presso EURORDIS, un’organizzazione della comunità europea presso la quale ho conseguito il mio certificato di “paziente esperto” in malattie rare, attestazione che fa di me uno strumento della European Medicines Agency (EMA) per lo sviluppo di nuovi prodotti farmaceutici nei 28 stati dell’Unione. Mi sarei mai immaginata dei cambiamenti così radicali nella mia vita? La risposta è “no”. Sono felice? “Felicissima”.