Forse non è abbastanza chiaro che questo Paese ha un problema di pari opportunità.
Forse i dati non ci hanno convinti che un Paese in cui le donne non partecipano all’economia (l’Italia è 118° – aspettate che lo ripeto: 118°! – su 144 Paesi nel mondo per partecipazione economica delle donne, secondo il Report annuale del World Economic Forum) è un paese zoppo, che sta producendo meno e peggio di quel che potrebbe.
Forse non è abbastanza chiaro che questo E’ un tema di genere: si tratta proprio delle donne, 51% della popolazione del Paese, tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa, tasso di fertilità tra i più bassi del mondo (e in picchiata, come confermano i dati Istat di questa settimana).
Forse non è abbastanza chiaro che le giovani donne italiane arrivano ignare a un mondo del lavoro che immaginano paritario, ma da subito ricevono paghe più basse, contratti più fragili e meno prospettive di carriera.
Forse non è così chiaro che si tratta di una questione – troppo grande per definirla semplicemente “problema” – complessa, che altri Paesi stanno cercando di risolvere da anni con ministri e risorse dedicate, e con approcci che coinvolgono i temi del lavoro, i servizi, la famiglia, l’educazione, la prevenzione, i diritti e non solo, perché le questioni complesse non si possono risolvere senza coinvolgere molte leve diverse e avere una prospettiva di lungo termine.
Forse per questo non abbiamo un Ministero per le Pari Opportunità, ma un sottosegretario senza nessuna esperienza in materia di pari opportunità (e altri 38 sottosegretari di stato e 6 viceministri, quasi tutti uomini).
Quello che è chiaro è che questo non è un tema che “sposta voti”. Nessun partito ne ha mai fatto un tema rilevante di programma, le donne che se ne lamentano sono sempre le stesse: piccoli nuclei di militanti che oscillano tra la definizione di “femministe” e di “rompiscatole” – o, quando va bene, “intellettuali”. La maggior parte delle Italiane abbassa la testa e deve essersi convinta che non essere rappresentata al governo, ricevere stipendi più bassi e proposte di lavoro più fragili, non ricevere servizi, non avere diritto a condividere i cosiddetti carichi familiari, non essere protette né sotto il profilo culturale né sotto quello fisico e dei diritti, sia il prezzo da pagare per continuare a vivere in questo Bel Paese.
Adesso è abbastanza chiaro che il Cambiamento di questo governo non include le donne. E forse alla fine a noi donne sta bene così.