C’è chi le chiama “mamme single”, come se una definizione più smart potesse alleggerirne la condizione sociale. L’Istat, nel suo ultimo rapporto sulla famiglia monogenitoriale, le chiama, senza mezzi termini, madri sole. E a leggere il Focus, la definizione è impietosamente corretta. Madri sole, soprattutto nella gestione dei figli minori. Quante sono? Tante. Tantissime. Soprattutto se confrontate con i numeri, decisamente più contenuti, dei padri soli. Si stima che, nel 2015-2016, le madri sole siano 893mila e rappresentino l’86,4% dei nuclei monogenitore (402 mila nel 1983). I padri soli? 141 mila nel 2015-2016 e 66 mila nel 1983. Nel 2015-2016 si stima che in media i nuclei familiari monogenitore in cui è presente almeno un figlio minore siano pari ad 1 milione 34 mila. E a guardare i dati fotografati dal 1983, il fenomeno è in persistente crescita.
Negli ultimi 20 anni le madri sole sono molto cambiate: rispetto al 1995-1996 sono più grandi di età, più istruite (il 63,3% delle madri sole possiede la laurea o il diploma) e più frequentemente nubili.
Ma ciò che permane sono le stesse problematiche: dover gestire tempo e soldi. Molto spesso le madri sole infatti hanno condizioni economiche più svantaggiate e una gestione diversa del tempo a disposizione rispetto alle madri in coppia.
A cosa devono rinunciare? Se si considera il puro aspetto economico gli esempi registrati sono molteplici: più della metà delle madri sole non può sostenere una spesa imprevista di 800 euro e neanche una settimana di vacanza. Quasi una su 5 è in ritardo nel pagamento delle bollette, affitto e mutuo. E altrettante non possono riscaldare adeguatamente l’abitazione. Purtroppo il divario tra le condizioni economiche delle madri sole rispetto alle madri in coppia è evidente in tutto il territorio italiano, raggiungendo il massimo delle criticità nel Mezzogiorno: sono il 66,7% le madri sole che dichiarano risorse economiche scarse o insufficienti contro il 52% delle madri residenti nel Centro-nord. Inoltre nel Mezzogiorno le madri sole a rischio di povertà o esclusione sociale arrivano a 58%, rispetto al 32,2% di quelle residenti nel Nord.
E il tempo? Purtroppo le problematiche non sono solo economiche e riguardano anche il tempo che diventa più difficile da gestire per le madri sole con figli minori: lavorano fuori casa più delle madri in coppia e, tranne per la cura dei figli, riducono tutti i tempi di lavoro familiare. Dedicano 37 minuti in meno al lavoro familiare e 47 minuti in più al lavoro extra-domestico al giorno rispetto alle madri in coppia. La differenza con le madri in coppia non riguarda il tempo dedicato alla cura dei figli ma quello dedicato al lavoro domestico, la mancanza del marito frutta quasi 30 minuti in meno al giorno di lavoro domestico. Di tempo libero ne hanno quanto le madri in coppia che hanno a disposizione a loro volta un’ora in meno del loro coniuge.
In aggiunta, le madri sole hanno risentito maggiormente della crisi rispetto alle madri in coppia, tra le quali la quota di occupate è rimasta praticamente invariata rispetto al 2006 (rispetto al 2006 la quota di madri sole occupate ha subito invece una forte riduzione abbassandosi di 7 punti, era il 71,2%).
La quota di donne occupate in part time è analoga e pari a circa il 39%, ma tra le madri sole è più alta la quota di donne che sono costrette a fare part time involontario (62,6% rispetto al 43,2% delle madri in coppia) perché non hanno trovato altro tipo di lavoro ma vorrebbero un lavoro a tempo pieno, date anche le peggiori condizioni economiche in cui versano. Nell’arco di 10 anni il part time è cresciuto sia per le madri in coppia sia per le madri sole. Ma questa crescita è tutta dovuta al part time involontario.
Dietro i dati fotografati dall’Istat e considerati i livelli e gli indicatori di povertà assoluta ed esclusione sociale particolarmente elevati viene percepita l’urgenza di un welfare adeguato a sostenere le famiglie monogenitoriali che offra politiche di aiuto costanti e mirate. Un altro tema che potrebbe essere messo in agenda dal prossimo governo.