Le donne che scelgono di studiare hanno attualmente accesso ad ogni percorso formativo, e le donne che scelgono di lavorare possono svolgere qualsiasi attività professionale; in pratica però la presenza femminile non si distribuisce in modo uniforme nei corsi di studio e nelle professioni, ma risulta concentrata in ambiti più specifici. Questo fenomeno si chiama segregazione orizzontale (scolastica e professionale), ed è correlato all’influenza degli stereotipi di genere.
Da anni la Commissione europea ribadisce che gli stereotipi legati al sesso, cioè i convincimenti culturali e sociali nei confronti di ruoli considerati per tradizione maschili o femminili, possono influenzare la scelta degli studi e delle professioni e portano alla segregazione nella formazione e nell’occupazione. Lottare contro gli stereotipi significa quindi lottare contro la causa basilare delle disparità ancora esistenti tra i due sessi sul mercato del lavoro.
Ad esempio, i dati del MIUR riferiti alle lauree magistrali del trascorso anno accademico indicano una concentrazione femminile superiore all’80% nelle seguenti classi di laurea magistrale: Linguistica; Psicologia; Storia dell’arte; Scienze per la conservazione dei beni culturali; Lingue moderne per la comunicazione e la cooperazione internazionale; Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua; Scienze pedagogiche; Servizio sociale e politiche sociali.
La presenza femminile è invece ancora inferiore al 20% nelle classi: Sicurezza informatica, Ingegneria elettrica; Ingegneria meccanica; Ingegneria informatica; Ingegneria dell’automazione; Ingegneria aerospaziale e astronautica; Ingegneria elettronica; Informatica.
Similmente, i dati Istat (media 2014-16) indicano una presenza femminile superiore all’80% nelle seguenti professioni: Addetti alla sorveglianza di bambini; Addetti all’assistenza personale; Estetisti e truccatori; Professioni qualificate nei servizi sanitari; Addetti alle funzioni di segreteria; Cassieri di esercizi commerciali; Addetti alla contabilità; Addetti alle buste paga; Collaboratori domestici; Addetti agli sportelli delle agenzie di viaggio, ecc.
Da notare la massima concentrazione femminile rilevata tra i professori di scuola primaria (99,9%).
Prof, c’è un massimo anche per i maschi?
C’è. La professione 6.1.5.2 – Operai addetti alla manutenzione degli impianti fognari – è maschile al 99,9%.
Ehm …Prof, c’è un altro esempio?
C’è. La professione 3.4.2.7 – Atleti – è maschile al 96%
Ecco!
Adesso vi cito alcune professioni. Pensate che le donne vi siano rappresentate almeno per il 10% del totale? No, non lo sono.
Elettrotecnici (1%); Conduttori di mezzi pesanti e camion (1%); Autisti di taxi, furgoni e altri veicoli (4%); Operatori ecologici (7%); Tecnici del risparmio energetico (5%); Addetti al lavaggio di veicoli (7%).
E per finire, quante pensate che siano le donne tra gli undicimila bagnini rilevati dall’Istat? 50 e 50?
No, son solo 13% … no, non è Baywatch …
Prof, però non è proprio chiaro perché l’Unione Europea finanzi le politiche di desegregazione. Se le donne sono più presenti nei loro settori, e gli uomini nei loro settori, ma ciascuno può scegliere liberamente, che male c’è?
Nessun male, se si tratta di scelte che derivano da preferenze genuine, ma se la scelta è una conseguenza del condizionamento degli stereotipi può rappresentare un serio ostacolo alla rivelazione del talento. Per dirla proprio in breve, se le bambine sono incoraggiate a giocare con il bambolotto, e i bambini col trenino, può venire il dubbio che il 93% di donne tra gli Addetti alla sorveglianza dei bambini e il 98% di uomini tra gli Addetti alla conduzione di convogli ferroviari possano anche non rappresentare una scelta genuina in tutto e per tutto. Ecco, in tal caso le politiche di desegregazione hanno lo scopo di allargare il campo di scelta di entrambi i generi, al fine di consentire alle donne e agli uomini di realizzare pienamente il loro potenziale.
Nel Patto europeo per l’uguaglianza di genere 2011–2020, (COM(2009) 77 def.) si legge infatti che “I bambini e i giovani hanno bisogno di modelli di donne e di uomini non basati su stereotipi, perché solo in un ambiente che incentivi le capacità individuali senza i condizionamenti degli stereotipi la diversità potrà produrre effetti benefici, portando opportunità di crescita per le persone e di sviluppo per le organizzazioni”.