Siete vittime di discriminazioni di genere o molestie nel lavoro? Oltre alla classica via di rivolgervi a un legale per vedere tutelati i vostri diritti c’è un’altra opportunità, meno nota: ricorrere alla consigliera di parità, una figura che ha il compito di verificare l’attuazione dei principi di uguaglianza e di pari opportunità. La consigliera, che è un pubblico ufficiale, può anche andare in giudizio a supporto di chi ha subito discriminazioni. Si tratta tuttavia di una strada poco battuta, un istituto gratuito ma poco conosciuto. E, soprattutto, si tratta di una figura, spiegano le consigliere di parità della Citta metropolitana di Milano, Chiara Vannoni e la supplente Sabrina Bandera, che ha ancora delle criticità, soprattutto in tema di risorse economiche necessarie per lavorare. L’istituto è stato infatti penalizzato dalle ultime modifiche normative e privato di risorse proprie. Servirebbe, insomma, secondo le consigliere, una riflessione a 360 gradi sui compiti e il ruolo di questa figura che richiede competenze molto elevate ed è stata istituita con una legge del ’91 a cui hanno fatto seguito varie stratificazioni normative.
UNA FIGURA SUPER PARTES CHE PUO’ ANDARE IN GIUDIZIO
La gratuità del ricorso alla consigliera di parità e il fatto che questa figura sia un pubblico ufficiale, super partes e che può anche andare in giudizio, si presentano a prima vista tra i vantaggi della scelta di questa via. “Il ricorso alla consigliera- suggerisce l’avvocato Tommaso Targa, dello studio Trifirò & Partners – è completamente gratuito. Inoltre si tratta di una figura imparziale che può raccogliere mandato anche da parte di più persone in una sorta di class action”. Le aziende – spiega l’avvocato Targa – temono molto eventuali iniziative della consigliera di parità. Si tratta di una figura peraltro molto interessante: ha infatti poteri e capacità di agire. La legge c’è, ed è del 1991, poi recepita nel Testo Unico del 2001. Il problema, semmai, è quello della pubblicità insufficiente su questa figura. Il limite nel ricorso alla consigliera è proprio quello che non c’è consapevolezza di poter reagire alla discriminazione e alle molestie ricorrendo anche alla consigliera di parità . Occorrerebbe maggiore informazione”.
Secondo l’ultima analisi dei dati contenuti nei rapporti delle consigliere di parità, presentata a maggio scorso e relativa al 2016, hanno fatto ricorso alle consigliere di parità 2.152 persone. Lo stesso rapporto, però, sottolinea che i dati sono approssimativi. L’84% delle richieste è stato presentato da donne, il resto dagli uomini. Per il 26% si sono recati personalmente negli uffici della consigliera di parità, per il restante 74% hanno utilizzato altri mezzi di comunicazione di massa.
LA MANCANZA DI RISORSE TRA LE CRITICITA’ DI QUESTA FIGURA
L’analisi dei rapporti delle consigliere, relativa però al 2016 denunciava una situazione economica delle consigliere disomogenea, in particolare per quanto attiene le risorse finanziarie residue del Fondo Nazionale, trasferite negli anni precedenti e ancora giacenti sui capitoli di spesa degli enti locali. Attualmente, spiegano le consigliere Vannoni e Bandera, servirebbero più risorse economiche, ma soprattutto la possibilità di utilizzarle, dal momento che le poche risorse disponibili sono spesso “bloccate” da Regioni e Province per ragioni di carattere contabile. Inoltre manca, nella loro esperienza, il sostegno trasversale che sarebbe necessario a questo istituto. A diversi anni dall’utilizzo della figura della consigliera servirebbero un chiarimento e una riflessione a 360 gradi sui compiti attuali. Le consigliere della città metropolitana di Milano, ad esempio, non sono pagate, non hanno neanche il rimborso previsto per altre consigliere provinciali, con i problemi pratici che nella gestione del loro ruolo ciò comporta. Ma soprattutto, notano Vannoni e Bandera, non è ad esempio pagato il ricorso alle consulenze legali spesso necessario nei casi in cui le consigliere debbano andare in giudizio. C’è solo il patrocinio gratuito per le persone che si rivolgono alle consigliere. Tutto ciò si traduce uno stallo nell’attività di questa figura e in una sua applicazione a macchia di leopardo nelle diverse regioni e province.
CHE COSA DICE LA LEGGE
La consigliera di parità è stata istituita con una legge del 1991 che ha stabilito che questa figura, presente a livello nazionale, regionale e provinciale, ha il compito di presidiare la condizione della donna nel mercato del lavoro. Il Decreto legislativo n. 196/2000 (e successivamente il Decreto legislativo n. 198 del 2006) ha introdotto una nuova disciplina strutturalmente unitaria delle consigliere e dei consiglieri di parità. Il ruolo delle consigliere, alle quali è riconosciuta una sorta di priorità nella designazione e nella nomina – a parità di requisiti professionali – appare centrale per sanzionare le discriminazioni e per incentivare le azioni positive.
I REQUISITI DELLE CONSIGLIERE/I DI PARITA’
Il decreto legislativo n. 196/2000 prevede che le consigliere e i consiglieri di parità abbiano funzioni di promozione e controllo dell’attuazione dei principi di uguaglianza, di pari opportunità e di non discriminazione per donne e uomini nel lavoro. Nell’esercizio delle loro funzioni, le consigliere e i consiglieri sono pubblici ufficiali e hanno dunque l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria i reati di cui vengono a conoscenza. La nomina delle consigliere e dei consiglieri di parità regionali e provinciali avviene con decreto del Ministro del Lavoro, di concerto con il ministro per le Pari opportunità, su designazione degli organi individuati da regioni e province. Per divenire consigliere/i occorre possedere requisiti di competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, con riferimento alle normative sulla parità e pari opportunità e sul mercato del lavoro. Il mandato ha durata di 4 anni, rinnovabile una sola volta.