Da Bari a New York. Due nazioni cui appartenere. Due lingue da parlare fluentemente, per gli affetti e per lavoro. Due decenni – venti anni in tutto dal 25 gennaio 1998 – appena festeggiati in studio con una cliente, davanti ad un cupcake sormontato da una candelina. La storia di Germana Giordano Middleton si sposa perfettamente con il tema del mese di febbraio di AlleyOop, #Duedidue. In lei convivono e si allineano due vite, celebrate ogni giorno con entusiasmo e la voglia di farcela, come se fosse il primo giorno. La vita di Germana Giordano Middleton scorre, ogni giorno sempre diversa, come le puntate di “Law&Order – I due volti della Giustizia”, tra una deposizione davanti al giudice e una riunione in ufficio, anche se ultimamente preferisce seguire “Shades of Blue”, serial tv con Jennifer Lopez e Ray Liotta. «E’ una sfida appassionante – a challenge – commenta – ogni giornata non è mai uguale ad un’altra».
«Bisogna avere sempre il coraggio di provare». Questa è la frase ricorrente, il “mantra” di Germana, che ha conservato il suo genuino accento barese, con le gustose “e” chiuse e aperte, alternato all’americano padroneggiato con sicurezza, che ogni tanto fa capolino. Se non fosse stato per quella sua dose di coraggio e la voglia di tentare una strada nuova e diversa rispetto a quella dei tanti colleghi universitari, all’indomani della laurea in Giurisprudenza a Bari, oggi forse non sarebbe a raccontare la sua storia da unico avvocato italiano penalista a New York (contando avvocati e avvocate) : «Per essere più precisi, qui ci sono tanti avvocati italo-americani – puntualizza – ma io sono l’unica superterrona – ironizza – con questo curriculum, questo background e una laurea italiana. Infatti, anche a livello consolare, sono sempre un avvocato di riferimento per questioni legate anche agli aspetti dei visti e dell’immigrazione, che ho approfondito col tempo, acquisendo un bel po’ di esperienza».
Sotto questo aspetto, le cose sono cambiate da quando c’è Donald Trump alla Casa Bianca? Chi volesse seguire il suo esempio?
«Con l’avvento di Trump le cose sono effettivamente cambiate, e a livello di immigrazione le maglie sono diventate più strette per ottenere un visto turistico, un visto lavorativo o un visto da artista. Le pratiche vengono esaminate con maggiore rigore e severità. Non è impossibile, ma è diventata più dura, ad esempio, rispetto a quando sono arrivata io qua venti anni fa o anche solo fino a tre anni fa. Chi si trova a rinnovare permessi ottenuti solo tre anni fa, oggi fa più fatica. Personalmente, però, ritengo che Trump non scoraggi i professionisti che non sono esattamente il target di questo genere di politiche».
Che cosa aveva in mente quando partì nel 1998?
«Avevo già in mente di venire negli Stati Uniti d’America, sin da quando stavo preparando la tesi di laurea in procedura penale comparata a Bari. Quando arrivai qui a New York, mi iscrissi ad un corso d’inglese, con l’intento poi di frequentare un master di specializzazione. Il mio obiettivo era quello di andare via dall’Italia e di venire a New York perché mi attirava da morire questa città multiculturale, e all’inizio mi aiutò tantissimo mia zia giornalista che viveva qui da diversi anni. Non è stato facile inserirsi subito, anche perché non avevo amici italiani, ma solo i compagni di questo corso internazionale. Ma mai avrei pensato che un giorno New York sarebbe stata la mia casa e che un giorno avrei anche sposato un americano. Questa città ti predispone al network, alla rete di amicizie, è un meltin’pot straordinario».
Qual è la caratteristica, quella marcia in più, da italiana e da pugliese, che pensa abbia fatto la differenza nella sua riuscita professionale e nell’affermarsi in una città così difficile?
«La lotta per la sopravvivenza. Noi al Sud sappiamo che cosa significa perché sappiamo quanto sia difficile farcela e dobbiamo lottare e dimostrare quotidianamente quello che siamo in grado di fare. In alcuni aspetti siamo forse un po’ più veloci e anche resistenti, siamo forgiati dalle difficoltà di un contesto in cui si lotta sempre. Quindi, quando ci troviamo in un ambiente con maggiori opportunità, sicuramente questo istinto viene fuori».
A che cosa ha pensato quando ha festeggiato i suoi due decenni di vita newyorkese?
«Che ero felice. Ma davvero vi chiamate AlleyOop come nel basket? Fantastico!»