C’erano una volta le bambole che aprivano e chiudevano gli occhi. Oggi le bambole ridono, piangono, modificano l’espressione del viso, gesticolano, raccontano storie, pongono domande, imparano, interagiscono, osservano e apprendono. Alcune, poi, se adeguatamente nutrite, crescono. Il sogno di ogni bambino.
Sono gli smart toys, l’ultima frontiera del giocattolo – che negli ultimi 50 anni è sempre più tecnologico (a questo link potete trovare alcuni dei giocattoli della vostra infanzia!) – e che sfrutta la rete per offrire funzioni avanzate: dotati di luci, sensori di prossimità e movimento, microfoni, telecamera e speaker, programmabili e gestibili via wireless o via bluetooth tramite smartphone e tablet, questi giochi divertono e stimolano l’apprendimento. Chissà quanti smart toys quest’anno avranno occupato le prime posizioni nelle letterine per Babbo Natale!
Ma chi pensa ad assicurare il divertimento al bambino, pensa anche alla sua sicurezza? Molti smart toys raccolgono e immagazzinano informazioni importanti come date di nascita, dialoghi, immagini del bambino e dell’ambiente domestico nel quale si muovono, geolocalizzazione. Insomma, la stessa funzione che permette all’innocua bambola di percepire il buio e mettersi a fare la nanna, consente di immagazzinare informazioni su di noi. Che dati raccoglie lo smart toys che abbiamo appena comprato? L’azienda di riferimento come li gestisce e li archivia? Che utilizzo ne fa? Con chi li condivide? I dati sono protetti in base ai più sicuri sistemi crittografici? Quanto facilmente possono essere intercettati da soggetti terzi? E’ stato chiesto il consenso del genitore? La connessione ad Internet è protetta da password?
Domande che comprensibilmente in molti genitori scatenano la noia e il rifiuto, eppure determinanti: nel mondo dell’Internet of Things (IoT) è indispensabile essere molto pazienti e informati per tutelare i bambini e tutelare noi stessi. Cosa niente affatto scontata e semplice a farsi, considerato che l’accesso ai dati e le modalità della loro gestione non sempre sono adeguatamente spiegati.
Uno studio della Washington University pubblicato pochi giorni fa mostra come i bambini non siano consapevoli di avere tra le mani giocattoli in grado di origliare e registrare le loro conversazioni. Non ne sono consapevoli perché nessuno li informa ma anche perché i giocattoli non sempre segnalano con un design adeguato all’età le proprie funzioni. Dal canto loro, molti genitori non comprendono la differenza sostanziale tra smart toys e assistenti vocali come Siri, che un gioco non è. Si avvicinano al giocattolo con atteggiamento ingenuo e fiducioso. La registrazione nasce proprio con l’obiettivo di consentire al genitore che si trova in un’altra stanza di ascoltare (controllare) cosa stia facendo il proprio bambino. Quanti di questi genitori dopo aver ascoltato le interazioni della figlia con la bambola decideranno, tanto orgogliosi quanto tempestivi, di postare il file audio o video sui social? E quanti invece si ritroveranno, ancora una volta, con un’eccessiva mole di dati (immagini, file audio, video) dei quali non sanno bene che fare e che si accumulano fino al momento in cui l’esaurirsi dello spazio impone di selezionare e cancellare qualcosa? Dati che però consegnano direttamente nelle mani di terzi, ignari di come verranno utilizzati?
Si moltiplicano in tutto il mondo allarmi, denunce, divieti, moniti, studi e raccomandazioni, e il tema della sicurezza tende a prendere il sopravvento su tutto. Merita però una riflessione anche l’aspetto educativo e psicologico in relazione al tipo di attività proposta da questi giocattoli: uno smart toy infatti può raccontare storie, porre domande e coinvolgere il bambino in una batteria di giochi preselezionati. Sono adatti alla sua età? Sono sufficientemente flessibili per rispondere alle sue esigenze, al suo bisogno di interagire, di apprendere, di emozionarsi, di creare, di imparare a gestire l’imprevisto? Insomma, siamo poi così sicuri che una bambola silenziosa non sia meglio di una parlante? Davanti ad una bambola che non parla il bambino può usare l’immaginazione: può darle una voce e un’intonazione, può inventare una storia, suggerirle una risposta e tessere un dialogo. Il gioco, diceva Winnicott (1951), è la condizione dell’informe dove una mancanza di vincoli predefiniti consente di avviare il processo creativo. “La fantasia è un posto dove ci piove dentro”, scriveva Calvino in una delle sue Lezioni Americane, citando Dante, facendo riferimento al ponte con qualcosa di divino. Il gioco consente di liberarsi della “tirannia della concretezza”, aggiunge poi Erikson, e di entrare in una dimensione simbolica nella quale un leone è il papà e due sedie con una coperta sono una casa. Gli smart toys sembrano farsi portavoce di una linea educativa che enfatizza la conoscenza e la memorizzazione a scapito dell’immaginazione e della relazione.
Di certo l’avanzata è inarrestabile. Questi giocattoli incontrano l’interesse e il desiderio dei bambini, tanto che secondo la società inglese Juniper Research le vendite degli smart toys passeranno dai 2,8 miliardi del 2015 agli 11,3 miliardi del 2020. Contiamo sulla capacità dei genitori di educare i propri figli a privilegiare le relazioni interpersonali (presupposto indispensabile per apprendere l’empatia) e a riconoscere la differenza tra bambini e robot, privi di emozioni. O un giorno potremmo ritrovarci di fronte ad un bambino che chiede di non andare a giocare con i suoi amici perché l’adorato giocattolo smart sentirebbe la sua mancanza…