Recite, regalini, aperitivi: anche questo Natale passerà

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Tra l’Immacolata e Natale: due settimane in cui anche le più forti di noi cedono ai sensi di colpa. Perché queste sono le settimane in cui tutto converge: vita e lavoro si mettono finalmente d’accordo e si uniscono nell’intenzione ineluttabile, inevitabile, straripante di “festeggiare”. La parola festa viene dal latino festum o a dies festus = giorno di festa, e indica un giorno di “gioia pubblica, giubilo, baldoria”. La festa deve quindi essere un evento gioioso comunitario o, quantomeno, da condividere con gli altri. Secondo etimoitaliano.it, un’origine ancora più antica si riferisce al greco festiao o estiao che indica l’atto di accogliere presso il focolare domestico (in sanscrito il focolare si indica col termine vastya) confermando il significato originario e profondo di condivisione, di accoglienza e di comunione gioiosa della “festa”.

E quindi eccoci: al lavoro di corsa, tagliando corto le riunioni per raggiungere la recita, il coro, la lezione aperta, la cioccolata calda genitori-insegnanti, il tutto moltiplicato per il numero di figli che si è arditamente scelto di mettere al mondo. A casa con le orecchie basse, sempre di corsa e senza fiato per raggiungere colleghi, partner di business, fornitori, clienti agli aperitivi e alle cene di saluti, di ringraziamento, di consolidamento, di rilancio. Impossibile dire di no, a Natale.  Le città, anche quelle più ordinate, perdono ogni direzione: auto in doppia fila e traffico a tutte le ore, perché tra i saggi di Natale e gli aperitivi di chiusura d’anno ci sono i “pensierini” da trovare per tutti, pena l’imbarazzo di ricevere senza poter restituire.

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Sfiancate, sfiancati, non osiamo guardare in faccia i nostri figli, che ci cercano di più e ci trovano di meno: qualcuno gli ha fatto pensare che a Natale dovrebbero esserci più attenzione e amore, mentre al massimo possono stilare una lista di desideri per il 25 e poi guardarci correre.

Nei colleghi al lavoro, almeno, ritroviamo lo stesso dolente struggimento: sguardi che dovrebbero festeggiare un anno che si chiude in festa, ma in realtà dicono: dimmi che stai anche tu come me, che devi lasciare a metà il pranzo natalizio per correre al coro scolastico, da cui a sua volta ti eclisserai (ma solo dopo aver girato un video) per raggiungere di nuovo l’ufficio, baciare i colleghi, mangiare il panettone, tornare in strada, diretta alla prossima tappa (il supermercato, l’ufficio postale, l’ingorgo, la recita, le palle… di Natale). Perché sono le Feste e, durante le Feste, noi della civiltà occidentale stiamo insieme e condividiamo: le stesse ansie da prestazione, la stessa fretta, la stessa impronunciabile sensazione di aver smarrito da qualche parte il senso di quel che stiamo facendo.