Prevenzione, protezione delle vittime e punizione degli uomini autori di violenza. Sono le tre gambe su cui poggia il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2017-2020 messo a punto dal governo. Tre ambiti di intervento accompagnati da un quarto asse trasversale, le politiche integrate di intervento, per costruire un sistema di raccolta dati e valutarne l’esecuzione. La nuova strategia, che prosegue nell’attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul, iniziata con il decreto legge del 2013, è stata messa nero su bianco a seguito del confronto del gruppo di lavoro composto da rappresentanti delle amministrazioni centrali, regionali e locali, dall’associazionismo di riferimento nazionale, centri antiviolenza e case rifugio in primis, dalle maggiori sigle sindacali, dai referenti dell’Istat e del Cnr.
Il Piano, e questo è un giudizio condiviso anche dai centri che invece sono critici su altri aspetti, parte dal presupposto che la violenza sia un fenomeno sociale strutturale che va estirpato alle radici. La violenza si basa sulla disparità di potere tra uomini e donne ed è un fenomeno sociale che ha origini culturali profonde, riconducibili a una organizzazione patriarcale della società. Per questo il Piano del governo, che punta a effettuare un cambio di passo nell’affrontare il fenomeno, considera la prevenzione uno dei presupposti fondamentali della strategia complessiva. Il nuovo Piano strategico, spiega il dipartimento per le Pari opportunità, è frutto di un «modello inedito di lavoro, proseguito per mesi, da un gruppo costituito dai referenti delle amministrazioni centrali, regionali e locali nonché delle realtà più rappresentative dell’associazionismo femminile e dei centri antiviolenza». Tra le principali novità indicate dagli esperti del dipartimento ci sono «la previsione di un meccanismo chiaro e trasparente di gestione delle risorse stanziate, peraltro con il tempo aumentate progressivamente; la sistematizzazione della raccolta dei dati; l’adozione di procedure di monitoraggio e valutazione delle azioni previste nel nuovo documento, come richiesto dagli standard internazionali e dalla Convenzione di Istanbul». Tutto questo «segnerà un cambio di passo, al quale si è contribuito coralmente. Se tutti quanti assieme lavoreremo per realizzare i principi fissati dal nuovo Piano, il dipartimento potrà disporre sistematicamente di un quadro aggiornato del numero delle strutture pubbliche e private, che a diverso livello costituiscono la rete di supporto e assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli».
Le risorse finanziarie necessarie ad attuare il Piano strategico sono previste più alte rispetto ai 39 milioni destinati al piano straordinario adottato nel 2015. Una volta individuati, i finanziamenti, che saranno di volta in volta impegnati dal dipartimento per le Pari opportunità e dalle amministrazioni coinvolte, dovranno essere accompagnati da un preciso e dettagliato impegno, anche finanziario corrente, dei diversi ministeri e dovranno tenere in considerazione le opportunità offerte a livello regionale oppure a livello di fondi europei.
PREVENIRE LA VIOLENZA
Il primo asse identificato dal Piano è quello della prevenzione della violenza contro le donne. L’obiettivo è aumentare il livello di consapevolezza nella pubblica opinione sulle radici strutturali, sulle cause e sulle conseguenze del fenomeno. Si punterà ,dunque , a rafforzare le capacità del sistema scolastico e a formare gli operatori del settore pubblico e privato. Inoltre, come stabilisce la Convenzione di Istanbul, è stata prevista una linea di prevenzione nei confronti degli uomini maltrattanti con percorsi rieducativi ad hoc. Un capitolo a sé è dedicato alla sensibilizzazione del settore privato e dei mass media sul ruolo di stereotipi e sul sessismo.
PROTEGGERE E SOSTENERE LE VITTIME
Il secondo asse, quello della protezione e del sostegno, è stato pensato per tutelare le vittime nel loro percorso di uscita dalla violenza. L’ombrello della protezione riguarderà non solo le donne, ma anche i minori che assistono alla violenza e gli eventuali testimoni. Nel Piano sono poi contenute le misure per garantire il costante e regolare funzionamento dei servizi specializzati, in primis centri antiviolenza e case rifugio, attraverso finanziamenti in forma continuata, secondo quanto è stato già previsto dall’articolo 5 bis del decreto legge del 2013. Le istituzioni coinvolte sono sempre le regioni e le province autonome che erogano i finanziamenti su base annuale.
PUNIRE GLI AUTORI DI VIOLENZA
Il terzo pilastro del Piano è dedicato a perseguire e punire gli autori di violenza. Questa parte ha come obiettivo quello di garantire in via privilegiata i diritti delle donne e dei minori durante le fasi dei procedimenti giudiziari. Inoltre, si vuole migliorare l’efficacia dei procedimenti a tutela delle vittime. In questo ambito il Consiglio superiore della magistratura continuerà ad approfondire l’efficacia dei procedimenti giudiziari con delibere finalizzate a incentivare la creazione di sezioni specializzate per i reati di violenza contro le donne e assicurare il pieno coordinamento tra uffici giudiziari.
LA REAZIONE DEI CENTRI ANTIVIOLENZA
La rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, di cui il Piano riconosce la centralità nella lotta alla violenza maschile sulle donne, ha diverse sfumature di reazioni al nuovo progetto governativo. Caustica è l’associazione D.i.Re-donne in rete contro la violenza che precisa: «Pur avendo partecipato assiduamente al percorso di concertazione come componente l’Osservatorio nazionale, non riteniamo ci siano ad oggi gli estremi per poter affermare che il quadro strategico sia stato redatto in pieno accordo con i centri antiviolenza della nostra rete». La presidente Lella Palladino sottolinea che la strategia del governo «come presentata da un punto di vista culturale, di linguaggio, di obiettivi è sì condivisibile, ma svuota di senso il nostro ruolo. Viene riconosciuta la forza dei Centri che però sono esclusi dai luoghi decisionali». Sottolinea, invece, gli aspetti positivi della nuova strategia Vittoria Tola, responsabile dell’Udi (Unione donne in Italia) che precisa: «Bisogna chiarire le responsabilità, i tempi di attuazione, e i finanziamenti. In assenza di ciò non possiamo ancora parlare di un vero e proprio piano. In generale, mi auguro che il Piano si realizzi visto che è frutto di un coinvolgimento molto forte degli attori in campo. Si dimostrerebbe che c’è finalmente un’attenzione non lacunosa, ma sistemica nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne». Ottimista, rispetto alla strategia del governo, è la onlus WeWorld che però chiede più risorse. «Il Piano – spiega Stefano Piziali, responsabile advocacy e programma di WeWorld – porta con sé la novità di un intervento finalmente strutturale sul tema. Rimane una criticità forte; un vero piano di intervento richiederebbe ben altre risorse rispetto a quelle che si stanno mettendo in campo, pur aumentate rispetto al passato». E’ molto positivo, infine, il giudizio di Telefono Rosa. Secondo Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente dell’associazione, nella nuova strategia sono contenuti «aspetti molto importanti. Uno: il Piano è frutto del lavoro tra società civile e vari ministeri e istituzioni. Due: è stato dato un nome preciso a centri antiviolenza e case rifugio anche se la definizione dei requisiti minimi, per legge, resta alle regioni. Tre: sono stati stanziati altri soldi che servono non solo per le case ma per mandare avanti tutte le strutture territoriali e periferiche. Tutto si può migliorare, ma dal poco siamo arrivati a mettere dei punti fermi. Credo sia da ringraziare il dipartimento che ha lavorato in maniera eccezionale».
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