Condividere su Facebook funziona perchè è nella nostra natura umana

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A poche ore di distanza, Facebook mi propone due post che mi costringono a una riflessione. Prima una signora, che nella foto del profilo abbraccia una bimba, racconta che la sua “piccola” sta malissimo, probabile leucemia. Si chiama Chicca, e solo qualche post più tardi scoprirò che si tratta del suo cane. Poco dopo un’altra donna, attraverso un breve e lucido post, condivide con tutti i suoi amici di Facebook che la sua piccola di cinque anni è improvvisamente mancata. Speri che si tratti di un animale domestico, ma purtroppo basta scorrere il suo profilo per capire che si tratta invece di sua figlia.
Subito ti domandi: lo avrei fatto io? E la risposta più vera è che non lo sai, e vuoi non saperlo mai. Che in teoria no, ci sono cose che pensi che non condivideresti… ma se succede un motivo c’è, ed è radicato nella natura umana. Dei miei 2.500 amici, molti postano foto di situazioni teoricamente private: non solo piedi abbronzati, bambini che giocano, pietanze, ma anche contusioni e soggiorni in ospedale, con dettagli su flebo, diagnosi e miglioramenti. Perché? Perché la natura umana è tale che la condivisione abbassa lo stress.

E’ bello condividere momenti gioiosi, far vedere aspetti della propria vita che “funzionano”: che gli altri sappiano che stiamo bene e volendoci bene (sono o non sono degli “amici”?), ne godano.

Ma c’è del sollievo anche nel condividere il dolore: nel chiamare a raccolta tutti i commenti e i like possibili, nel provare a sentirsi meno soli. E questo desiderio è proprio un “istinto” radicato nella specie umana, come rivela un filone di ricerche che ha interessato soprattutto le donne: il loro modo di reagire in situazione di stress.

Negli anni ’80, infatti, quando ancora si pensava che uomini e donne reagissero in modo identico – si era in pratica adottata la reazione maschile per spiegarle entrambe – alcuni ricercatori hanno iniziato a sottoporre a test gruppi di sole donne, e a monitorare quali comportamenti alleviassero il loro stato di stress.

Il punto di partenza era: abbiamo sempre saputo che la reazione umana in caso di pericolo è “attacca o scappa”: ma vale anche per le donne? I risultati sono illustrati in un bellissimo libro dal titolo “L’istinto della cura”, che risale alle radici della nostra storia. Ovvio che no: le donne che siamo state per centinaia di migliaia di anni non avrebbero attaccato in caso di pericolo – troppo deboli fisicamente – né sarebbero scappate, lasciando indietro la prole. Ed ecco la scoperta: il cervello premia le donne – ovvero produce l’ossitocina che abbassa il loro stato di stress – quando queste “si prendono cura” e quando “creano alleanze”.

Le persone hanno bisogno di non sentirsi sole: di condividere, di trovare alleati. E’ questo ad abbassare il nostro livello di stress: di fronte alle situazioni difficili, ai dolori piccoli e a quelli grandi. E allora ben venga anche Facebook, se ci fa sentire meno soli quando la vita ci mette a dura prova.


Qualche giorno fa abbiamo ricevuto un messaggio su Facebook, proprio dopo aver preparato questo post. Una storia che vale la pena leggere. Una bambina per cui fare il tifo.

#unponteperalice