Lo sapete che nei circa 100mila anni di storia dell’umanità siamo passati attraverso una serie di stadi evolutivi e in ciascuno stadio le nostre abilità cognitive, morali e psicologiche hanno generato una nuova visione del mondo, nuovi modi di collaborare e di organizzare le attività adeguati a quell’epoca?
Bene, gli studiosi di diverse discipline, dagli antropologi, ai filosofi e agli psicologi, ci dicono che il prossimo stadio della coscienza umana sarà caratterizzata dall’”addomesticamento” del nostro ego, che ci permetterà – si spera – di cambiare prospettiva. Siamo infatti entrati nell’era geologica definita, non a caso, Antropocene: è la prima epoca in cui le modifiche strutturali, ambientali e climatiche del pianeta sono dovute principalmente alle attività umane.
Come dire, dopo decenni di crescita infinita con risorse finite, siamo alla resa dei conti. O cambiamo modello di sviluppo e di fare business o la fine è segnata. E di certo non è una soluzione quella prospettata dal presidente Usa in carica, Donald Trump, quando dichiara di voler tornare all’estrazione del carbone dalle miniere per creare occupazione. L’illusione di aggiustare ciò si è definitivamente rotto con soluzioni del passato, parte del problema stesso, non ci può portare da nessuna parte.
Quello che ci serve è darci la possibilità di immaginare una nuova visione del mondo, delle persone e del lavoro. La ricerca svolta negli anni da Frederic Laloux, ex consulente McKinsey, raccolta nel recente libro Reinventing Organization (tradotto in italiano da Peoplerise e pubblicato da Guerini Next), suggerisce una chiave di lettura tanto suggestiva quanto pragmatica. Facendo un parallelismo tra l’evoluzione della coscienza umana e delle organizzazioni, identifica una serie di stadi in termini di cultura aziendale (e quindi di struttura e procedure) in cui si possono trovare le aziende come diretta conseguenza dello stadio evolutivo dei loro leader.
In epoca “moderna”; ci sono l’organizzazione Rossa, guidata dalla paura (branco di lupi); Ambrata, guidata dai processi (esercito); Arancione-Risultati, guidata dai processi e dai progetti (macchina) e poi Verde, guidata dalla cultura e dai valori (famiglia) e una serie di ibridi. In ogni caso, tutte inadeguate rispetto alle sfide attuali. E, poi, esistono dei pionieri, aziende che Laloux ha denominato Teal, il colore delle foglie del tè, come metafora degli organismi viventi, che sopravvivono grazie all’impulso di adattarsi al continuo evolversi del contesto. Qualche nome? Aes (Usa, energy, 40mila dipendenti), Bso/Origin (Paesi Bassi, consulenza, 10mila dipendenti); Buurtzorg (Olanda, sanità, 7000 dipendenti); Favi (Francia, produzione metalli, 500 dipendenti), ma anche l’italiana Mondora, che progetta e sviluppa software, con una 40ina di dipendenti.
Ciò che le distingue sono tre fattori dirompenti, che testimoniano il loro stadio di maggiore consapevolezza rispetto alle altre forme organizzative:
- Self-management (autonomia). L’organizzazione si basa su una leadership diffusa, che si esprime attraverso unità auto-organizzate basate su un sistema di relazioni paritarie e non sulla necessità di rispondere a gerarchie e consenso, cosa che permette di prendere con rapidità le decisioni migliori.
- Wholeness (pienezza). L’organizzazione favorisce la piena manifestazione dell’identità delle persone. Niente divisone vita-lavoro, ma la possibilità di essere autentici, liberando emozioni e intuito, che sono fonte di nuove risorse mentali e di engagement.
- Evolutionary purpose (proposito evolutivo). Le organizzazioni hanno un’anima, una vita e un senso di direzione, che si costruisce con il coinvolgendo di tutti gli stakeholder, interni ed esterni. Di conseguenza, il cambiamento avviene naturalmente e continuamente.
Quale colore attribuireste alla vostra organizzazione?