Come, dopo Brexit, qualcosa si sia incrinato tra gli italiani in Uk, ho cercato già di spiegarlo. Mi è stato obiettato che la mia esperienza non era necessariamente condividibile, e che non per tutti i trentenni italiani all’estero la prospettiva di un ritorno era diventata più appetibile post-referendum.
Ho pensato, quindi, di fare una sorta di sondaggio informale tra conoscenti e amici expats italiani come me qui in UK. Ovviamente il mio campione è poco rappresentativo, perchè sono privilegiati, con un’istruzione universitaria e un buon lavoro, Bocconiani finiti in finanza, brillanti accademici che insegnano a Oxbridge, consulenti o giornalisti di successo, e persino qualcuno che lavora per il governo inglese. Ma ho anche chiacchierato con Lula, ragazza di origine eritrea nata e cresciuta a Bologna e che da oltre 5 anni lavora dal mio parrucchiere, e anche con Mario, che è arrivato un anno fa per lavorare a Caffé Nero vicino all’ ufficio, e così via. Ecco i tre tipi di profili emersi dal mio sondaggio.
I pragmatici: “Non mi manderanno via”
Chi crede fermamente nel pragmatismo inglese, pensa che non si permetterà il disastro dell’economia che sarebbe causato dall’espulsione di anche solo una parte degli EU expats. Il 10% dei dottori che lavorano per il servizio sanitario nazionale britannico, per esempio, e il 17% di accademici nelle università inglesi sono europei, e più della metà sta pensando di lasciare il paese se non vengono date loro garanzie sul futuro. Dati tali li confermano i pragmatici nella loro certezza che il governo di Theresa May non commetterà un tale suicidio, economico ancor più che politico. Di conseguenza proseguono nel loro quotidiano tran-tran, guardando dall’alto in basso chi si agita per Brexit.
I combattivi: “Lotterò per restare”
Per questo gruppo, è necessario lottare per guadagnarsi il diritto di restare, indipendentemente dell’esito di Brexit. I combattivi sono quelli che si ritrovano ad eventi come 1 Day Without Us, in cui cittadini UE hanno manifestato per sensibilizzare il governo britannico al rischio di un paese senza di noi, ma anche per lamentarsi del limbo legale in cui si sentono. O che partecipano alla campagna del gruppo #the3million[1] intitolata ‘I am not a bargaining chip’, in cui si chiede di non trattare i cittadini UE in UK come della merce di scambio – cosa che sembra voler fare invece Liam Fox, ministro pro-Brexit del governo May. O ancora che aiutano i New Europeans, che stanno facendo firmare ai parlamentari una petizione per concedere agli Europei il diritto di restare.
I disillusi: “Forse è ora di tornare”
Al recente meeting a Londra del candidato per le presidenziali francesi Emmanuel Macron mi ha colpito il suo appello ai francesi di Londra: farò della Francia un Paese migliore affinchè voi torniate. Nessuno ci ha ancora detto questo, ma i disillusi che sospettano sia giunto il momento di tornare amerebbero un tale invito. Hanno dubbi e pregiudizi sull’Italia – misogina, genrontocratica, immobilista, non-meritocratica, iper-burocratica, e così via; ma anche la volontà di andare a vedere coi propri occhi se poi sia davvero così male. A malincuore, i disillusi hanno la consapevolezza che potrebbero dare molto al proprio Paese dell’esperienza accumulata all’estero, e almeno avrebbero la certezza di potervi restare…
Sarà interessante vedere se i pragmatici avranno ragione, se i combattivi vinceranno la loro lotta, o se i disillusi saranno solo i precursori volontari di un ritorno in massa che non sarà più una scelta ma un obbligo. Per ora i pragmatici sembrano averci azzeccato: la camera dei Lords ha dato uno schiaffo al governo May, approvando un emendamento che chiede garanzie sui diritti dei cittadini europei residenti nel Paese, nel contesto della legge destinata ad autorizzare l’esecutivo ad avviare i negoziati. Ma la domanda per il governo inglese resta comunque: vogliono un giorno – o un intero futuro senza di noi?
[1] si riferisce ai 3 milioni di cittadini EU in UK