La notizia si è fatta attendere.
Solo in tarda serata, ieri, al termine di una lunga audizione dei cinque candidati rimasti in corsa per la direzione generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, è stata annunciata la short-list da cui il 27 maggio l’Assemblea Generale – a cui aderiscono tutti i 194 paesi membri – sceglierà il successore di Margaret Chan, in carica da ben 10 anni.
Flavia Bustreo, la candidata del Governo italiana, purtroppo non ce l’ha fatta, come neppure il francese Philippe Douste-Blazy. Rimangono in gara l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’inglese David Nabarro e la pakistana Sania Nishtar. Le sue prima parole sono state di gratitudine per il supporto che tutto il paese le ha dato, a partire dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
E’un vero peccato, dobbiamo ammetterlo, ma confidiamo che in qualità di Vice Direttore Generale dell’OMS per la Salute della Famiglia, delle Donne e dei Bambini, Bustreo possa continuare a diffondere la sua visione e portare il suo fattivo contributo, forte della profonda conoscenza dell’Organizzazione e dell’esperienza sul campo in oltre 40 paesi del mondo. E, forse, ancora più per la sua consapevolezza della connessione tra le criticità della salute del pianeta e dell’umanità e la sua determinazione a perseguire l’obiettivo della “salute per tutti”. Ecco che cosa ci ha raccontato in proposito.
Sembra che l’aumentare delle disuguaglianze a livello globale abbia delle ricadute anche sul fronte della salute. Quali sono i pericoli maggiori da neutralizzare e come vincerli?
La più grande ingiustizia del nostro tempo è che milioni di adulti, adolescenti e bambini in tutto il mondo muoiono per cause prevenibili. Altri milioni non riescono a raggiungere la pienezza della salute e del benessere, e non sono quindi in grado di partecipare attivamente allo sviluppo della società e dell’economia. Se vogliamo davvero realizzare gli obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, dobbiamo utilizzare tutto il potenziale dell’OMS per riunire persone, partner e ricerche scientifiche necessarie a sfidare le disuguaglianze nella salute. Occorre sviluppare nuovi metodi di identificazione delle persone più bisognose, in particolare coloro che vivono in povertà, i rifugiati e i migranti, gli adolescenti, i bambini non accompagnati, le persone costrette a fuggire dalle loro case a causa della guerra o delle crisi, e altri soggetti vulnerabili. L’OMS è chiamata a comprendere meglio i determinanti sociali ed economici della salute in tutti i settori.
Quanto incidono i cambiamenti climatici sulla salute dell’uomo?
Fino ad oggi si è guardato ai cambiamenti climatici considerando solamente la salute del pianeta. C’è un pressante bisogno di capire meglio come questi aspetti provochino la diffusione di malattie in nuove aree, in quale misura contribuiscano al cambiamento dei vettori di malattie e quale effetto abbiano sulla salute, rendendo più difficile per molti l’accesso a cibo, all’acqua potabile e all’aria pulita. Non si può più sottovalutare l’impatto che i cambiamenti ambientali hanno sulla salute delle persone. Questo è un concetto su cui ho insistito molto durante l’Accordo di Parigi e su cui continuerò a lavorare, facendone una mia priorità. Per farle un esempio concreto sui diversi modi in cui il cambiamento climatico impatta sulla nostra salute mi viene in mente Zika, collegato al fenomeno di El Niño nella regione tropicale. In quel caso l’innalzamento delle temperature ha aumentato la presenza di insetti portatori di infezioni e favorito la diffusione del virus.
Nel suo programma per il futuro dell’OMS, aveva previsto una riforma organizzativa: significa che “l’azienda OMS” non sta funzionando a pieni giri?
L’OMS, negli ultimi anni, ha già intrapreso importanti riforme in tema di emergenze, ma nonostante questo sono necessari ulteriori sforzi. Ci sono degli aspetti fondamentali da migliorare, velocizzando i tempi di risposta e rafforzando la sorveglianza per virus e minacce emergenti come l’antibioticoeresistenza e il virus Zika. Per fare questo è di fondamentale importanza avere a disposizione una rete efficiente che possa far comunicare con facilità tutti gli attori coinvolti. Queste due caratteristiche sono indispensabili per far sì che una semplice infezioni non si trasformi in un’emergenza globale, così come è successo per Ebola. Una delle priorità del mio programma era quella di avviare una riforma che tenesse conto dell’International Health Regulations Framework, ma anche delle nuove evidenze e valutazioni scientifiche, per avere una gestione delle emergenze sanitarie puntuale ed efficace.
E quale modello operativo consiglierebbe di adottare al prossimo direttore generale?
Un aspetto che fino ad ora l’OMS non ha praticato e che avrei introdurre è quello del lavoro in simbiosi con attori non istituzionali attivi sul territorio, un modello che tenga conto non solo di governi e ministeri, ma anche di Ong, organizzazioni religiose e laiche presenti sul campo. In Africa ci sono decine di Onlus che lavorano in silenzio. Mi viene in mente il mio periodo di lavoro in Sudan, dove sono venuta a contatto con piccolissime realtà che si dimostravano fondamentali per la salute della popolazione. E questo approccio può funzionare anche per il finanziamento alla salute. Credo si debba lavorare in maniera più efficace con le istituzioni, gli enti finanziatori come la Banca Mondiale, il Fondo Globale, GAVI e la Global Financing Facility, ma anche con il mondo delle aziende. Credo che si debbano innescare meccanismi innovativi di advance commitment come avviene in molte altre realtà. Penso per esempio al GAVI (Global Alliance for Vaccine Immunization), di cui sono vicepresidente, che opera grazie ad una partnership pubblico-privata per accelerare l’accesso ai vaccini nei paesi poveri.