Per quanto mi costi, talvolta affrontare il tema della separazione di coppie con figli è indispensabile, soprattutto in momenti contraddittori. Non più tardi di qualche mese fa scrivevo amaramente di una sentenza dalla Cassazione che riaffermava il principio della maternal prevalence. Qualche settimana fa il Tribunale di Catania ha rigettato l’indirizzo, come legittimamente è autorizzato a fare. Allora non ho sentito il bisogno di scriverne, di rallegrarmene, perché l’incertezza dei diritti è sempre un male.
A peggiorare la situazione è comparso all’orizzonte anche il tema del registro della bigenitorialità. Aldilà dei proclami, condivisibili o giustificabili, si tratta di uno strumento che permette di annotare formalmente anche la residenza o il domicilio del genitore non “collocatario”. Nella maggior parte delle separazioni, infatti, l’affido dei figli è condiviso, ma la loro “collocazione” prevalente sancisce anche la loro residenza legale. Questo significa che le istituzioni dialogano unicamente con un genitore per tutto quello che riguarda i figli, salute e scuola, ad esempio. Il registro della bigenitorialità permette a entrambi di avere le medesime informazioni.
La mappa dei comuni che stanno adottando il registro è in continua evoluzione. Hanno detto sì città come Verona, Siracusa, Parma e Savona. Altre hanno detto no, Modena e Cesena, ad esempio. Alcune stanno discutendo come Torino e Milano. Insomma il massimo dell’incertezza.
Non mi sono mai avvicinato alle associazioni dei padri separati, probabilmente sbagliando, ma spesso le ho trovate animate da velleitarismo e io non ho mai avuto bisogno di rivincite, ma di tempo e serenità da spendere con mia figlia. Eppure in questo caso il lavoro fatto è parecchio. Anche la geometria delle parti politiche pare un merito per quanto è variabile e spesso inedita. Fratelli d’Italia con M5S, PD con Lega, M5S in solitaria, destra compatta o sinistra riunita. Eppure nonostante le famiglie coinvolte siano molte, il tema dei padri separati è ancora poco rappresentato dalle agende politiche, forse perché sviluppare la bigenitorialità è un costo oltre che uno sforzo legislativo. O forse perché non importa poi a molti.