“Io sono il marito e tu sei mia moglie, ok? Tieni la bambola”.
“No, facciamo che io sono una veterinaria e non sono la moglie di nessuno”.
In questa dinamica di gioco libero, avvenuta nella mia classe, c’è una manifestazione importantissima: l’autodeterminazione. E’ un diritto inalienabile, che appartiene a ciascuno di noi e che non dovremmo mai dimenticare. E se lo sa Francesca, a cinque anni, allora, è proprio da qui che dovremmo partire. Tra i banchi di scuola, dai bambini e dalle bambine, per progettare un’educazione che aiuti a prevenire la violenza sulle donne.
Nel giorno a livello internazionale si organizzano centinaia di eventi per attirare l’attenzione sulla violenza contro le donne, occorre domandarsi cosa si può fare concretamente per costruire un mondo senza pregiudizi e senza violenza. E’ soprattutto iniziando dalle menti dei più piccoli che le nuove generazioni potranno crescere senza stereotipi. Educare al rispetto, alla conoscenza reciproca, alla condivisione, significa cominciare a porre le basi per formare degli adulti più liberi, più consapevoli e affettivamente maturi.
Per permettere la costruzione di un’alfabetizzazione degli affetti, bisogna puntare ad una vera e propria “competenza amorosa”, che metta, in futuro, i ragazzi, al riparo dalle relazioni violente. Occorre lavorare sulla quotidianità, per la conoscenza delle differenze di genere, per comprendere che queste, non comportano la superiorità di qualcuno a discapito di un altro. Spiegare ai bambini, usando termini semplici e comprensibili, che la violenza non è mai la risposta giusta, nemmeno come reazione ad un’offesa o ad una ingiustizia. Si potrebbe approfondire l’educazione del corpo, della percezione delle differenze fisiche e psicologiche, per arrivare ad una piena consapevolezza di uguaglianza sostanziale, dei diritti e dei doveri.
Le fiabe diventano strumenti preziosi, per comunicare con i più piccoli. In particolare, ci sono le “Fiabe in Rosso”, un progetto a quattro mani, pubblicato nel 2015. E’ una raccolta di fiabe classiche, dei fratelli Grimm o di Andersen, tutte con protagoniste femminili, ma con le trame “riviste”, allo scopo di evidenziarne il valore pedagogico e di critica sociale. Perché ciò che ogni bambino dovrebbe imparare è che il finale della propria storia, il finale della propria vita, non deve essere scontato, non può essere solo uno e, soprattutto, non deve essere deciso da qualcun altro.
La felicità non consiste necessariamente ne trovare il “principe azzurro”, ma nel costruire la propria strada, con sacrifici, coraggio, sconfitte e vittorie. Felicità può significare trovare il proprio posto nel mondo. Se vogliamo un cambiamento del sottofondo culturale arcaico, che rende la donna una proprietà, con un destino predeterminato, con un ruolo prestabilito, allora dobbiamo educare ad accettare la libertà di autodeterminazione, che ciascuna persona possiede.
Le storie di cronaca, di femminicidi, di donne violentate, vessate, minacciate, sono spesso intrecciate con il fertile terreno di una cultura miope, che tende a congelare i ruoli sociali. L’educazione alla libertà, all’affettività, all’empatia, all’autodeterminazione, è l’arma più potente che abbiamo, per contrastare fenomeni sociali disfunzionali e pericolosi e per permettere alle bambine di oggi, di diventare donne consapevoli E LIBERE.