La vittoria di Trump? «E’ la sconfitta dell’establishment non solo degli Stati Uniti d’America, ma di tutte le potenzi occidentali. Sia i governi di destra che di sinistra si sono riempiti la bocca negli decenni della parola “inclusione”, ma nessuno ha fatto nulla per arrestare la crescente disuguaglianza e iniquità. Il risultato è stata una progressiva erosione dei redditi della middle class, che ha portato un generale impoverimento, con conseguenze socio-economiche devastanti. L’unica cosa positiva di queste elezioni è che hanno svegliato i governi sugli errori commessi. Ora dobbiamo solo sperare che lo staff che affiancherà Trump sia di prim’ordine».
Così ha parlato, il 9 novembre scorso, prima in sala stampa e poi on stage, Arianna Huffington – storica fondatrice dell’Huffington Post ora passata a una vita più rilassata dopo il burnout – a un’edizione del World Business Forum palesemente segnata dai risultati delle elezioni Usa. Così come la tensione era palpabile la sera prima, l’8 novembre, al Premio Bruno Leoni dell’omonimo Istituto, dedicato a diffondere gli ideali del libero mercato, della proprietà privata e della libertà di scambio. Non esattamente le intenzioni che, almeno in campagna elettorale, ha dichiarato l’attuale Presidente degli Stati Uniti!
Non a caso, il premio quest’anno è andato a Deirdre N. McCloskey, una delle voci economiche più accreditate al mondo, l’anti-Piketty per definizione. Studiosa proprio dell’accelerazione dell’arricchimento della società occidentale dal 1800 in poi, quello che lei definisce “the great enrichment”, sostiene che il principale fattore distintivo dello straordinario sviluppo avvenuto in Occidente è la figura del mercante e dell’imprenditore. In sostanza, della borghesia e dei suoi valori che hanno permesso il superamento della cultura aristocratica, basata su gerarchie, ereditarietà e disprezzo delle attività economiche.
Trump è, sì, un tycoon nato dal nulla, ma anche un protezionista convinto di riportare gli Usa alla grandiosità costruendo muri. Vedremo se, nel secolo dei paradossi, sarà proprio lui a diminuire le fratture interne, ma anche esterne ai confini americani. Perchè il tema della disuguaglianza è globale ed è su questo terreno che si gioca il futuro del mondo. Politologi, economisti e sociologi, da Amartya Sen a Jacques Attali concordano sul fatto che per scongiurare la catastrofe, il mondo abbia bisogno di un iper-democrazia, un’assunzione di responsabilità e di etica sociale che dovrebbe guidare le politiche pubbliche dei paesi più forti nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e condiviso per tutti.
Chissà se Hillary Clinton ci avrebbe dato più rassicurazioni su questo fronte?