“Questo è un luogo comune”. Intervistare Patrizia De Luise, Presidente del Coordinamento Nazionale dell’Imprenditoria Femminile di Confesercenti, significa inerpicarsi lungo un sentiero di domande scelte con cura, che non facciano maldestramente precipitare nella risposta di cui sopra. Il premio, arrivati alla vetta, è una visione chiara di che cosa significhi fare impresa per una donna oggi, ammesso che di questione di genere si possa parlare.
Sì perché questa signora di 61 anni, che è anche Vice Presidente Nazionale di Confesercenti, presidente della Federazione Italiana Franchising (FIF) e alla guida di Confesercenti Genova e Confesercenti Liguria, ha vissuto per esperienza tutto ciò che è diventato istanza da portare avanti nelle realtà associative, ma non si è mai sentita discriminata in quanto donna. “Sono diventata imprenditrice quasi per obbligo – racconta – perché quando pensavo che mi sarei dedicata all’insegnamento, ho dovuto iniziare a occuparmi del negozio di abbigliamento di mia mamma, che produceva filati e maglieria, a Genova. Come spesso accade quando si è giovani, allora avevo 28 anni, le carte si sono rimescolate e io ho capito che il commercio mi piaceva. E mi piaceva farlo in proprio”.
A inizio anni ’80, quando nella città della Lanterna si costruisce il primo centro commerciale, il secondo bivio. “Ho sempre creduto nelle realtà di quartiere, che danno anima alla città. D’altra parte, quando fai impresa devi accogliere i cambiamenti, se non anticiparli. E così ho aperto un secondo negozio in questo centro”. Nel giro di qualche anno, De Luise aprirà altri punti vendita, esplorando anche le possibilità del franchising quando in Italia era una formula commerciale agli albori. E farà i primi passi nel mondo associativo. “Sentivo la necessità di confrontarmi con altri colleghi, ma anche di essere parte attiva nei luoghi dove si possono portare avanti istanze che poi diventano legge. Nel frattempo ho anche avuto due bambini, tante volte mi sono confrontata con il timore di non riuscire a portare avanti tutti gli impegni, ma sono sempre andata avanti con entusiasmo. Avevo una rete famigliare di grande supporto e due modelli, mia madre, che ha sempre lavorato, e mio padre, che mi ha sempre lasciato libera di scegliere”. Maternità, conciliazione, pari opportunità, differenze di genere…che cosa è luogo comune e che cosa no? “Impresa rosa è un termine che non mi piace. L’impresa è impresa e basta. Però è indubbio che sulle donne ricada ancora troppa parte del welfare, penso alla cura dei bambini e degli anziani.
Così come è indubbio che l’accesso al credito, oggi comunque difficile per tutti, per noi è ancora più complesso, visto che a una donna che va a chiedere un finanziamento in banca spesso chiedono anche la firma del marito. A un uomo non chiederebbero quella della moglie. E sono dati che si ricavano dai report di Banca di Italia, non lo dico io. Per Impresa Donna si concentra molto sulle agevolazioni finanziarie”. Ultimo passo prima della vetta, il più rischioso, che cosa pensa delle quote rosa nei consigli di amministrazione? La risposta tarda ad arrivare, momento di panico. “Guardiamo ai numeri. Le donne in posti di potere sono pochissime, e credo proprio per le criticità di cui parlavamo prima. E allora ben vengano le quote rosa nei cda se è l’unica via per dare inizio a un cambiamento“. Questo non era un luogo comune.