Donne di calcio, il movimento punta al professionismo

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Dal calcio degli anni ’70 di Elisabetta Vignotto a quello di Barbara Bonansea e Elena Linari della Nazionale italiana che andrà ai Mondiali di Francia 2019, passando per Carolina Morace, dodici 1volte capocannoniere della serie A con 550 reti in totale, e per Patrizia Panico, 204 gare disputate e 110 gol realizzati solo contando quelle in Nazionale. I numeri e le carriere sul campo parlerebbero da sé, ma dietro le donne che stanno facendo il movimento del calcio femminile italiano c’è molto di più. Tutte si riconoscono nelle parole della capitana della Nazionale italiana Sara Gama, che in un discorso al Quirinale ha ricordato i sacrifici e le difficoltà attraversate e la strada che resta ancora da fare per dare un futuro ai sogni delle bambine, che sempre più numerose, indossano pantaloncini e scarpini per correre dietroa un pallone.

Perché lo sport, soprattutto se di squadra, va ben oltre le vittorie e i palmares e queste donne ne sono un esempio con la consapevolezza di quanto sia costato negli anni riuscire a giocare, ad avere un proprio spazio, a veder riconosciute le proprie aspirazioni. E tutte, in questa catena di generazione in generazione, riconoscono le conquiste che hanno ereditato da chi è venuta prima e sentono forte la responsabilità di fare un ulteriore passo avanti per coloro che verranno, senza l’ambizione di essere miti, ma modelli di forza, tenacia, coraggio e valori.

Valori, trasparenza, purezza. Sono parole che ricorrono in queste interviste, di chi vuole che il calcio femminile cresca ma lontano dalle storture che hanno intaccato il calcio maschile. E poi studio: perché l’impegno non è solo in allenamento, ma anche sui libri per prepararsi a un futuro che andrà ben oltre il gesto tecnico o la prodezza di un gol. Perché studiare dà delle possibilità in più e queste donne non intendono precludersi strade, voglio essere atlete e professioniste iscrivendosi alla facoltà di economia o di giurisprudenza, di scienze motorie o di ingegneria. Proprio per questo nel dopo carriera non hanno il problema di sentirsi «finite», inizia semplicemente una nuova fase in cui daranno al calcio come allenatrici, dirigenti, manager.

Consapevolezza, trasparenza, impegno, studio concorrono a comporre le basi della visione e delle strategie che queste donne hanno per il futuro e che perseguono con determinazione. La visione di un calcio al femminile che sia professionistico, come quello maschile anche attraverso una modifica della legge n. 91/1981 sul professionismo sportivo. Una legge ormai sorpassata dai risultati sul campo, dalla spinta dal basso, ma soprattutto dalle decisioni prese negli ultimi anni dalla Figc, il cui regolamento obbliga le società di serie A a creare sezioni giovanili femminili o squadre di prima linea acquisendo il titolo. Certo il professionismo, lo ammettono tutte, non può arrivare domani, metterebbe in difficoltà squadre femminili che hanno fatto la storia del campionato ma che non sono blasonate e ricche al punto da poter sostenere un innovazione simile. Ma si può cominciare da maggiori garanzie sia previdenziali sia pensionistiche, si può pensare ad un passaggio intermedio di semi-professionismo.

Nella visione del futuro si pensa anche alla base del movimento: una maggiore presenza di squadre sul territorio che possano accogliere le bambine, un aumento del numero delle tesserate, un lavoro di cultura del calcio femminile che parta dalla scuola primaria. Il tutto affiancato da un maggior impegno sul fronte della comunicazione e della pubblicità per attirare spettatori e sponsor.

Nessun dubbio che queste donne sappiano disegnare le direttrici di sviluppo del movimento, ma per realizzare i progetti sarà necessaria un’alleanza con gli uomini che hanno il potere di far accadere le cose. E intanto il primo impegno sarà quello di sostenere e tifare la Nazionale italiana che dopo vent’anni torna ai Mondiali. Non le chiediamo il miracolo, ma di divertirsi e di divertirci, perché già scendere in campo in Francia è un gran traguardo, oltre i confini dello sport, per tutte le donne italiane. Per quelle che giocano a calcio e per quelle che non conoscono neanche la regola del fuorigioco.


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  • Daniele |

    Nel 2018 ancora disparità tra uomo e donna…la fatica è la stessa ma alle donne non danno la possibilità di diventare professioniste…perché? Forse vale meno il sogno di una bambina? Retaggi medioevali che nascondono il poco rispetto per le donne…quindi il maschietto cresce già con l’idea di essere superiore alla coetanea, poi da grande sorprenderà il rispetto?

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