Lotta, l’attivista che affronta la crisi climatica a colpi di archetto con il suo contrabbasso

«Buttare giù i muri dell’indifferenza e parlare del collasso climatico». È questo l’obiettivo con cui dal 2022 Carlotta Sarina, in arte Lotta, viaggia in tutta Europa con il suo contrabbasso e il suo attivismo. Il legame tra l’ambientalismo e la musica non è certo nuovo: le rivendicazioni ecologiste, per dirne una, sono passate dal palco di Woodstock, e si sono intrecciate alle ballate poetiche di Joni Mitchell negli Anni Settanta e con i brani di Billie Eilish e dei Radiohead, in tempi più recenti. Per Lotta, classe 2022 di Salso Maggiore, però, suonare e cantare non sono solo modi di denunciare gli effetti deleteri dello sfruttamento della Terra, ma strumenti per «creare dialogo e ridare speranza”.

Con lo spettacolo “Detonazione”  – che unisce cover di diversi generi da “Million reasons” di Lady Gaga, al rap di Caparezza fino ai «pezzi più epici degli Imagine Dragons» – è arrivata a 80 date, raccontando temi come la fast fashion e la necessità di prendere posizione «in un futuro instabile». Performance come quella di “My hearth will go on” nell’azione “Fiumi verdi” a Venezia, l’anno resa un volto noto nel panorama dell’attivismo italiano. Tuttavia, però tra nuovi live, brani inediti, i progetti alla scuola Holden di Torino e le azioni di disobbedienza civile nonviolenta con Extinction Rebellion o Fridays for Future, Lotta intende affrontare il 2025 «con la cura e la furia di chi vuole trovare una strada per non perdersi», combattendo la crisi climatica attraverso la musica.

Amare la musica

Nella sua vita, oltre che nella sua carriera, «ci sono stati due momenti di innamoramento, quello per la musica e quello per l’attivismo», racconta Lotta in un’intervista ad Alley Oop. Il primo è avvenuto quando era ancora una bambina e adorava «cantare le sigle dei Pokemon in cameretta» con suo fratello. Questa scintilla è diventata una vera e propria passione alle medie: «a un certo punto ho cantato in classe ed è stato il primo momento in cui sono riuscita a rompere il guscio e a comunicare con un pubblico». Dai suoi compagni di scuola ben presto è passata a «cento persone in Piazza o ai partigiani di Salso Maggiore. Era bellissimo perché io sono timida e la musica mi faceva ascoltare».

È stato invece ai tempi del liceo musicale che ha scoperto il contrabbasso. «È stato amore a prima vista. Non volevo uno strumento di accompagnamento come la chitarra, ma qualcosa di particolare. Poi io amo muovermi e ho la necessità di stare in piedi. Anche perché con lo sgabello da orchestra non tocco per terra», scherza. La prima volta che ha provato a «tirare l’archetto sul “Mi grave” ho sentito tutto rimbombare e ho detto: voglio questo». Dopo gli anni della scuola superiore – arricchiti da esperienze come una tournée in Cina a 16 anni – è arrivato il momento di trasferirsi al conservatorio di Milano.

Ritrovare un senso

Il passaggio, racconta l’attivista, è stato difficile. «Non eravamo più solo i due contrabbassisti di Parma, ma eravamo in trenta e c’era molta più competizione. Bisognava mettersi in gara, performando davanti a tante persone che speravano che tu sbagliassi». L’armonia necessaria a creare insieme melodie sembrava così messa a dura prova. «A un certo punto mi sono ritrovata io a sperare che una mia cara amica sbagliasse a suonare, per prendere il suo posto nell’orchestra. A quel punto ho pensato “questa vita non la viglio fare”. Avvicinarmi al contrabbasso mi faceva male». A salvare Lotta è stato però il contatto con la natura. «Ho iniziato a frequentare un orto condiviso di Legambiente vicino a dove vivevo  e mi sono ritrovata a passare molto più tempo con vecchietti a curare pomodori rispetto quello che passavo a suonare Beethoven», racconta.

«Mi sono resa conto che mi mancava la collina e tutto quello che avevo perso trasferendomi a Milano». Poi «mi sono accorta che fuori dai contesti musicali, non sapevo comunicare con le persone e non ero cittadina attiva», aggiunge. Per esempio, «non sapevo nulla di politica e, quando sono dovuta andare a votare non sapevo cosa fare».  La svolta definitiva per Lotta è capitata per caso sotto forma di un volantino che annunciava una manifestazione di Fridays for Future davanti al teatro alla Scala. «Ci sono andata e vedere delle persone con dei megafoni in mano per l’amore del Pianeta è la rabbia contro chi lo stava distruggendo, proprio davanti al simbolo di dove sarei voluta arrivare con la musica, è stato catartico», spiega la contrabbassista. «Mi sono innamorata».

Musica e lotta

Da quel momento, «ho iniziato a leggere cosa fosse la crisi climatica e cosa avrebbe fatto alla mia vita e al mio futuro. Un futuro che non riuscivo più a immaginare», racconta Lotta. «Mi sono chiesta: “come posso continuare a suonare il contrabbasso se il mondo brucia?”». La decisione di lasciare gli studi al conservatorio dopo sette anni non è stata semplice, né per Carlotta né per la sua famiglia. A rafforzare la scelta è stata la partenza con Fridays for Future, Greenpeace e Legambiente per la manifestazione ‘Not my Taxonomy’  davanti al Parlamento europeo di Strasburgo. Una contestazione, organizzata a luglio 2022, per protestare contro alcuni passaggi controversi della Tassonomia europea, non da ultima quella di includere il gas tra le fonti di transizione verso un sistema energetico green.

«Io facevo parte del gruppo che aveva il compito di rallentare la polizia sulle canoe, mentre gli altri attivisti cercavano di realizzare un presidio davanti all’Europarlamento». Lotta ricorda benissimo quando la polizia è arrivata per fermare l’azione. «Ci ha circondato e ci ha identificato per portarci in questura. In quel momento dovevo dimostrare di essere convinta di quello che stavo facendo, ma mi stavano urlando addosso, non sapevo il francese e non riuscivo a comunicare», spiega. A un certo punto però l’attivista si è messa a cantare. Allora è successo qualcosa di imprevisto. «Il poliziotto che mi stava trascinando via si è messo a fischiettare “Bella Ciao” con me». In quel momento, è avvenuta “la detonazione”, dalla quale prende il nome anche il progetto musicale di Lotta. «È stata abbattuta la barriera tra noi e loro e quello è diventato un momento di unione. Eravamo solo esseri umani su fiume, davanti al parlamento, che cantavano insieme».

Tornare alla musica

 In quell’occasione gli agenti hanno hanno rinunciato a fermare Lotta e gli altri attivisti del gruppo. «La musica aveva creato un momento d’ascolto. Così ho capito che non dovevo lasciarla, ma metterla al servizio della causa», racconta la giovane. In tutte le sue performance contro la crisi climatica, anche in quelle non autorizzate, ora nota sempre «poliziotti che battono il piede o muovono la testa, perché la musica rende tutti umani. Cadono gli schieramenti contrapposti e rimane la bellezza di essere lì insieme». Questo è stato particolarmente evidente la prima volta che Lotta è messa in stato di fermo. «Stavo suonando My hearth will go on, la canzone del film Titanic, al Ponte di Rialto a Venezia per commentare la Cop28 che si era conclusa con le lacrime delle persone delle isole del Pacifico per la mancanza di azioni concrete per la transizione»

All’inizio la performance non è stata semplice. «Mi sono resa conto della cattiveria che ci può essere nelle persone. Nonostante gli attivisti non stessero bloccando né i turisti né i cittadini, «erano tutti fermi a riprenderci in attesa di qualche violenza o ci urlavano contro». Almeno fino a quando Lotta non si è messa a suonare. «É calato il silenzio. Tutti stavano zitti per capire cosa stesse succedendo». Il contrabbasso di Lotta è stato così la chiave per emozionare turisti e passanti e ha permesso agli altri partecipanti all’azione di tenere discorsi sulla crisi climatica e di avviare un dibattito. «Sin dagli Anni Settanta parliamo degli effetti devastanti della crisi climatica, quelli che sono già stati vissuti in Emilia Romagna o a Valencia. Ma forse è stato troppo», ammette infatti l’attivista. «Abbiamo annichilito le persone e le abbiamo bloccate. Ora e il momento di ridare speranza e la musica può fare tanto».

Musica come speranza

«Una serie di quattro accordi può creare quattro, cinque o dodici emozioni di diverse a seconda di come la suoni». Può così tradurre in modo più diretto e personale la mole di date e informazioni che riguardano la crisi del clima e degli ecosistemi, ma anche quelle sui diritti dei lavoratori, le disuguaglianze la parità di genere e tutto ciò che interseca le istanze ambientaliste. Basti pensare che, dopo l’azione a Venezia i poliziotti «sono venuti a dirmi “non si fa, ma complimenti”», racconta Lotta. Le canzoni «ci muovono dentro e ci rendono felici».  Per questo, sono fondamentali per affrontare quella che è «una lotta immensa, dove sembra che qualunque gesto non sia mai abbastanza perché deve essere un’azione politica e collettiva».

A volte, «può sembrare troppo», spiega l’attivista. «Se anche all’interno di questo andiamo in burn out e non stiamo bene rischiamo di perderci». Se invece ci impegniamo a capire «cosa ci rende felici e a declinarlo su sul mondo nuovo che dobbiamo costruire», immaginare un futuro sostenibile e organizzare azioni per rivendicarlo diventa più semplice e coinvolgente. La musica poi unisce e permette di affrontare paure e sconfitte insieme, oltre a illuminare le battaglie che, anche se piccole, portano qualche risultato. «Il percorso deve essere bello. Proprio perché non vedi la fine, durante questo tunnel devi trovarti quel gruppo di persone che sono il tuo gruppo e camminare insieme in buio per farti luce a vicenda». In questo senso, Lotta usa il suo contrabbasso come una lanterna, che abbatte i muri dell’indifferenza, nel lungo tunnel del contrasto al collasso climatico e della transizione green.

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