Spunta l’ipotesi di aumentare il numero dei componenti del consiglio di amministrazione di Cdp per superare lo stallo politico sul rinnovo del board e parallelamente mantenere le quote rosa. La soluzione, dopo quattro rinvii dell’assemblea degli azionisti, emerge dalle indiscrezioni di stampa. Il consiglio di amministrazione passerebbe quindi da 9 a 11 membri. Un’altra strada vagliata in questi giorni è quella di tenere conto, per calcolare la quota di genere, oltre ai 9 ( o 11, nel caso di un incremento) membri del cda, anche dei 5 membri della gestione separata. Il board è integrato, infatti, per la gestione delle risorse provenienti dal risparmio postale (Gestione separata), dal direttore generale del Tesoro, dal ragioniere generale dello Stato e da tre rappresentanti di regioni, province e comuni.
La prossima riunione dell’assemblea degli azionisti, con all’ordine del giorno il rinnovo del cda, è prevista per lunedì prossimo 15 luglio: sarebbe stata convocata anche in seduta straordinaria, con la possibilità quindi di introdurre modifiche statutarie sulla governance.
In attesa di comprendere meglio quale sarà la proposta che sarà effettivamente portata al tavolo del consiglio di amministrazione di Cdp, continuano le dichiarazioni preoccupate delle associazioni di professioniste, che credono che la vicenda possa rappresentare un precedente per altre aziende pubbliche e quotate in Borsa.
Le firmatarie della legge Golfo-Mosca
«C’è indubbiamente – commenta Alessia Mosca, già parlamentare Pd e firmataria della legge 120/2011 – una fatica generalizzata sui temi di diversity e la sola legge quote non è sufficiente a cambiare in profondità l’organizzazione della società. Abbiamo sempre detto che se non ci fossero state altre iniziative (ci sono enciclopedie su quello che si potrebbe fare) la legge quote nei board sarebbe stata sempre più sotto attacco. Questo purtroppo sta avvenendo. Il clima politico in Italia e altrove nel mondo non fa ben sperare, mentre i cambiamenti sociali e demografici stravolgenti richiederebbero una urgenza massima».
«Ora il governo – prosegue Mosca – ha dovuto trovare una soluzione perché c’è stata una reazione massiccia. Bene che ci sia reattività di tanti soggetti che si sono mossi. Ma mi chiedo: se non si fosse trattato di una società così visibile come Cdp? Sarebbe passata in sordina quasi sicuramente. Quante sono le situazioni in cui sotto silenzio si arretra? Quello che sconcerta è che pur di cercare di mantenere uno straccetto di potere si fanno scelte autolesioniste, che poi paghiamo tutti».
«Quello che sta accadendo in Cassa Depositi e Prestiti è di una gravità inaudita. Mi auguro vivamente si torni sui propri passi, confermando la presenza di quattro donne sui nove membri del Cda. Modificare lo statuto per abbassare la soglia di presenza femminile rappresenterebbe un passo indietro inaccettabile, compiuto da una società controllata che, contrariamente a come oggi si legge su La Repubblica, è soggetta alla proroga della mia legge che ha introdotto le quote di genere nei cda delle società quotate e controllate» commenta Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario e prima firmataria della Legge 120 con Mosca.
«Che il rinnovo di un cda cruciale per l’economia italiana – continua Golfo – sia rimandato da mesi perché non si trova l’accordo sulle candidature femminili è una circostanza a dir poco imbarazzante che lede l’immagine del Paese tutto. E ora la notizia di una marcia indietro eclatante sul fronte delle quote di genere: invece di dare il buon esempio, una delle più importanti società controllate italiane si propone di aggirare una norma approvata all’unanimità dal Parlamento ben 12 anni fa! Il mio appello è al governo e a tutti i partiti della maggioranza per trovare un accordo su profili di donne competenti e preparate. Sono tantissime e non avranno alcun problema a trovarle, anzi ho personalmente notizia di manager preparatissime che hanno già avanzato la loro candidatura, inutilmente. L’alternativa è un vulnus gravissimo che non faremo passare sotto silenzio!».
Le associazioni
Molteplici le testimonianze raccolte da Alley Oop da parte di associazioni che da sempre sono impegnate sul territorio italiano a favore della parità di genere. Riportiamo qui di seguito gli interventi che ci sono pervenuti:
«Si sostiene che l’eventuale passo indietro possa esser fatto perché non è mai stato emesso il regolamento attuativo della legge Gribaudo (162/2021) e quindi resterebbe valida la soglia della legge Golfo-Mosca del 33%. Questo a mio parere non ha a che fare con la gravità della decisione di rivedere al ribasso la norma di garanzia di genere prevista nello statuto solo allo scopo di realizzare spartizioni di incarichi tra uomini individuati per la loro appartenenza politica» osserva Rosanna Oliva, presidente di Rete per la parità, che prosegue: «L’arrivo delle donne nei luoghi di potere ha valore non solo perché riduce discriminazioni che svantaggiano le donne e consente di avvalersi di competenze altrimenti escluse ma anche perché contrasta meccanismi che incidono negativamente sul funzionamento delle attività di grande rilevanza per la società».
«Ridurre il coinvolgimento femminile, equo e capace di proporre nuovi role model per ispirare donne e ragazze, sarebbe un errore strategico per la crescita della nostra economia e abbassa i risulati delle singole aziende. Il network di Intheboardroom ha più di 450 profili di donne preparate per entrare in cda e spesso con competenze distintive su temi di digitale e Esg» dice Francesca Reich presidente network alumn* Intheboardroom by ValoreD.
«La notizia della difficoltà ad individuare candidate donne nel consiglio di amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti – commenta Gianna Martinengo, fondatrice di Women&Tech – lascia molto stupiti. Ancora di più stupisce la notizia di una possibile soluzione che consisterebbe nella modifica dello Statuto di Cdp che attualmente prevede la presenza di 4 donne sui 9 membri del cda. Se è innegabile che siano stati fatti molti passi avanti per assicurare un maggiore coinvolgimento delle donne in ruoli importanti, inclusi i cda di società, è altrettanto innegabile che la strada da fare sia ancora lunga. Ad esempio studi recenti, come il Global Gender Gap 2024 del World Economic Forum, dimostrano che sono ancora pochissime le donne a ricoprire i ruoli apicali nel management delle aziende. L’episodio di Cdp, quindi, non solo conferma una tendenza, ma preoccupa particolarmente perché la soluzione non pò essere il cambiamento delle regole (oggi uno Statuto, domani una legge?). È importante che la società civile resti attenta e manifesti il proprio disappunto di fronte a questi episodi. Occorre mantenere un livello di attenzione molto alto e sorvegliare perché i diritti acquisiti non vengano violati o, addirittura, cancellati».
«Come sappiamo Cdp è una società controllata dal MEF la cui rilevanza e visibilità sono fondamentali per il Paese che considera le grandi società, e Cdp in modo particolare, un esempio di riferimento per le best practice di buon governo societario. Non è un caso che l’attuale statuto Cdp preveda che entrambi i generi siano presenti in consiglio per non meno di due quinti (40%) come nelle migliori pratiche che riflettono i principi della Legge Golfo-Mosca» sottolinea Maurizia Iachino, presidente di Fuori quota, aggiungendo: «Gli azionisti (Mef per circa l’87%) nel pieno diritto di nominare un consiglio che sia il migliore per la società e per i suoi stakeholders, e cioé il tessuto imprenditoriale italiano, devono applicare le best practice, tra cui il rispetto dell’equilibrio di genere sancito nello statuto e già adottato da Cdp. Ci sono già tutte le condizioni per nominare il migliore cda, che si avvalga delle competenze necessarie senza rinunciare al contributo fondamentale di avere, con una presenza il più possibile paritetica, profili femminili di eccellenza femminile, per esempio incrementando il numero dei membri del cda, e non certo alterando la proporzione minima del 40% del genere meno rappresentato (le donne!) ».
«Nell’attuale cda di Cdp ci sono donne di altissima competenza, è importante che anche nel nuovo board ci siano molte donne, anche andando oltre la soglia obbligata e e che, al tempo stesso, si operino scelte che per uomini e donne garantiscano il merito e la qualità necessaria. Al tempo stesso, occorre ancora allineare la legislazione delle società pubbliche con quelle private e per queste ultime eliminare la distinzione tra quotate e non quotate, optando per linee di demarcazione differenti che pongano responsabilità anche in capo alle non quotate, soprattutto se di dimensione consistenti» osserva Daniela Carlà, presidente di Noi Rete Donne.
«Cdp è una delle principali istituzioni finanziarie dello Stato italiano che investe in società che rappresentano le eccellenze dell’industria italiana. Il fatto che Cdp abbia deciso di non valorizzare i talenti e le competenze femminili nel proprio consiglio d’amministrazione ha un significato ben oltre il fatto stesso. Significa che la governance non è consapevole del ruolo e dell’importanza della diversità nella definizione dell’innovazione e che reputa la presenza femminile non dirimente per il successo delle aziende in cui investe. Non è solo una questione di quote, ma di visione, cultura, inclusione e di innovazione» ha dichiarato Darya Majidi, presidente Donne 4.0.
«La partecipazione femminile nella governance delle aziende e politica è un fattore chiave per lo sviluppo economico e sociale. L’Italia è una best practice a livello internazionale in termini di presenza femminile negli organi di governo societario grazie alla legge Golfo-Mosca, che ha permesso di sbloccare meccanismi di selezione opachi e poco meritocratici che ostacolavano l’ingresso delle donne . Non possiamo fare passi indietro, al contrario è il momento di rilanciare con determinazione anche su tutti gli altri fronti in cui i risultati sono ancora insoddisfacenti» sottolinea Barbara Cominelli fondatrice di GirlsRestart.
«Sul caso Cdp l’associazione Donne Leader in Sanità, associazione impegnata nella promozione della leadership femminile in sanità, si associa alle altre voci sulla necessità di una equa rappresentanza nei consigli di amministrazione . Riteniamo infatti che la diversità porti crescita e che le misure volte a garantire un equilibrio di rappresentanza siano necessarie per perequare le disparità e far emergere le tante competenze femminili disponibili. Infine la presenza di un maggior numero di donne in posizioni di leadership come i Cda contribuiscono al cambio culturale» spiega Patrizia Ravaioli, presidente di Donne Leader in Sanità.
«L’episodio di Cdp non è unico ed è sintomatico di una fortissima resistenza ad aprire ad una parità di genere sostanziale e non di facciata, che consenta davvero un innesto innovativo e di cambiamento di un sistema che necessita di rigenerarsi, anche per i certificati risvolti economici e di crescita. Anche il PNRR a tre anni dall’avvio e a meno di due anni dalla sua conclusione ha sinora disatteso gli obiettivi trasversali di ridurre i divari di genere» ha dichiarato Tiziana Cignarelli, segretaria generale della Flerap, il sindacato dei professionisti pubblici.
«E’ molto triste vedere che la parità di genere sia vista dalle istituzioni che ci governano come un obbligo burocratico anziché un’opportunità di crescita dell’economia e del benessere del nostro Paese. A tal punto che per difendere le posizioni di rendita di alcuni, tradizionalmente uomini, si sta pensando addirittura di cambiare lo statuto di una delle aziende partecipate più importanti e per questo seguite d’Italia, Cassa Depositi e Prestiti. Se solo si applicassero dei principi di meritocrazia nella selezione sicuramente si troverebbero molte donne perfettamente idonee a ricoprire le posizioni di board member e non solo. E come ampiamente documentato da studi scientifici e sperimentato nella pratica quotidiana dai ceo delle aziende di ogni dimensione e settore rappresentate nella nostra associazione, un buon equilibrio di genere non è solo un fatto di giustizia, ma fa bene allo sviluppo del business e alla sua sostenibilità nel medio lungo termine» ha dichiarato Paola Corna Pellegrini, Presidente AICEO – Associazione Italiana ceo.
«In questi giorni stiamo assistendo ad un acceso dibattito che riguarda la possibile riduzione della rappresentanza femminile nel consiglio di amministrazione di Cdp ed un cambio di Statuto per un diverso conteggio di genere, allargato anche ai membri aggiuntivi della gestione separata. Ridurre le quote di genere nel cda rappresenta un passo indietro. La legge Golfo/Mosca dal 2011 ha garantito una più equilibrata rappresentanza dei generi negli organi collegiali delle società italiane quotate e di quelle non quotate, ma controllate dalle pubbliche amministrazioni. Ci auguriamo un mondo in cui non occorrerà più ricorrere alle quote di genere, ma fino ad allora è opportuno che lo strumento legislativo trovi la più ampia applicazione in tutti i casi, senza deroghe. NoiD si schiera contro la riduzione delle quote di genere, consapevole che l’Italia ha bisogno di strumenti capaci di farla risalire nel Global Gender Gap Index: nel 2024 l’Italia è passata dalla 79° all’87° posizione nella classifica globale… cosa altro dobbiamo aspettare?» ha commentanto l’associazione NoiD.
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