Cosa vuole davvero la GenZ? E perché questa generazione richiama tanto la nostra attenzione? La risposta è duplice: da un lato, entro il 2025 i GenZ rappresenteranno più di un quarto del capitale umano globale, dall’altro, sono la generazione che più di tutte sta rompendo i ponti con il passato, in termini di linguaggio, di ambizioni, di modi di vivere.
Tutto ciò che fino a poco tempo fa sembrava “scontato” (acquistare una casa, crearsi una famiglia, firmare un contratto a tempo indeterminato), ora, viene messo in discussione. Ma cosa comporta questo per chi si occupa di risorse umane? Zelo, società di consulenza specializzata in GenZ, ha intervistato 5.915 ragazzi e ragazze per indagare il loro approccio al lavoro. È emerso che 4 su 10 preferirebbero lavorare in una grande azienda, ma senza essere travolti dalla cultura delle performance. I giovani vogliono sentirsi ascoltati e, al contempo, ricevere feedback concreti, con suggerimenti e consigli pratici per migliorare. Vogliono leader motivazionali ed empatici, che sappiano guidarli nel percorso di carriera.
La GenZ e il timore di fallire
Ciò che spicca è, soprattutto, la paura del fallimento unita al timore del giudizio altrui. Sensazioni che generano ansia e che derivano, secondo quanto dichiarato dagli intervistati, dal non voler deludere le generazioni precedenti (i genitori, in primis) e, al contempo, dalla voglia di affermare la loro personalissima visione del mondo. Ammettono, infatti, di essere cresciuti in un costante confronto non solo con il vicino di banco, come poteva accadere alle generazioni precedenti, ma con il mondo intero, anche per effetto dei social. Tutto questo, li ha portati a ricercare conferme e gratificazioni e a sentirsi particolarmente vulnerabili in caso di assenza di riscontri positivi.
Non solo, guardando più nel dettaglio all’approccio al lavoro, soprattutto alla fase di selezione, si scopre che la maggior parte dei giovani si prepara ai colloqui seguendo video-tutorial su YouTube o TikTok e che quasi il 60% vorrebbe essere reclutato dalle aziende in maniera amichevole, preferibilmente attraverso Instagram, più che su LinkedIN. E visto che ormai, in molti casi, il meccanismo di selezione si è invertito – non sono più le aziende, ma i candidati a scegliere per chi lavorare -, è sempre più importante la reputazione di cui gode l’organizzazione. Il 30% del campione intervistato, infatti, ha affermato di scegliere un’azienda in base alle recensioni dei dipendenti che legge online.
Non solo smart working
L’indagine sfata anche un altro falso mito: lo smart working. Il 39% non lo ritiene fondamentale se in ballo c’è un lavoro che gli piace fare. Fa invece riflettere un 14% che pensa che il lavoro da remoto sia “indispensabile” per limitare l’ansia sociale che potrebbe derivare dalla condivisione di uno stesso ambiente di lavoro con il resto dei colleghi. Infine, il contratto a tempo indeterminato: è ancora importante? Lo è per il 37%, ma per il 14% serve più che altro a far contenti i genitori, rispondendo ancora una volta a quel bisogno di approvazione che tanto li caratterizza.
«La GenZ ci continua a sorprendere: vogliono realizzarsi, veder riconosciuto il proprio talento e sentirsi importanti tra i grandi, ma soffrono le regole e hanno un’allergia generazionale alle procedure e alle gerarchie. È questo ciò che spesso li fa etichettare come “sfaticati”, ma c’è bisogno che gli adulti cambino il proprio punto di vista: i GenZ non si adattano a modelli standardizzati ma desiderano essere ascoltati e ricevere dei feedback chiari che dimostrino attenzione per la loro crescita professionale» – commenta Cecilia Nostro, founder di Zelo.
Il punto è, quindi, indagare con sincerità e senza pregiudizi questa generazione, così diversa dalle precedenti e al contempo così ricca di potenzialità. Il mondo che verrà, del resto, sarà a forma di GenZ: meglio prepararsi.
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