“Non solo si tende a non dare peso agli incidenti di violenza, ignorando gli effetti traumatizzanti sui figli, ma addirittura quando una madre denuncia gli abusi come fattore di rischio per i minori, questo si ritorce contro di lei. Viene considerata una tattica per limitare i diritti dei padri”. Così Christina Olsen, curatrice del primo rapporto sull’Italia di Grevio, l’organo del Consiglio d’Europa che verifica l’applicazione negli Stati della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, pubblicato qualche giorno fa, commenta i risultati dell’indagine e ne mette in evidenza i punti salienti.
“Il quadro legislativo italiano – spiega Olsen ad Alley Oop – consacra il principio dell’interesse superiore del bambino nelle decisioni sulla custodia ma, forse perché troppo generiche, le norme non sono formulate in modo efficace per proteggere la madri vittime di maltrattamenti e i loro figli. Riconosciamo l’interesse del bambino a mantenere rapporti con ambo i genitori quando non c’è violenza, in caso contrario la situazione va esaminata in un’altra ottica”. Il rapporto Grevio – redatto dopo un monitoraggio tra Roma, Milano, Bari – esprime dunque forte preoccupazione, spiegando che nel nostro Paese permangono ancora resistenze nei confronti di una piena attuazione dell’uguaglianza tra donne e uomini, con reticenze a tutti i livelli, dalla scuola all’università al lavoro.
Le leggi ci sono ma non vengono applicate o sono applicate male: manca una riflessione approfondita per permettere una buona implementazione, spiegano gli esperti. Tra le norme citate la normativa del 2009 contro lo stalking, la legge 2013 contro la violenza di genere che prevede risorse per piani anti violenza e case-rifugio, il congedo speciale retribuito per le lavoratrici vittime di maltrattamenti (decreto legislativo 2015), la legge 4/2018 a favore degli orfani di femminicidio e per ultimo il Codice Rosso, in vigore da agosto 2019. Punti critici evidenziati dall’Organizzazione internazionale con sede a Strasburgo: i finanziamenti in termini di protezione e assistenza vittime, la formazione di figure professionali (medici, magistrati, forze dell’ordine, assistenti sociali), la mancanza di un’educazione alla parità nelle scuole e nelle politiche locali per la promozione di eventi di sensibilizzazione.
“La lentezza nell’assegnazione dei finanziamenti statali nuoce alle vittime perché mette a rischio l’operatività dei centri anti violenza. Inoltre, le divergenze delle Regioni nel gestire i fondi comportano diversità di trattamento. Serve un maggior coinvolgimento delle Ong”, dichiara Olsen. Sulla formazione, ci sono stati degli sforzi da parte delle autorità ma non esistono piani formativi su larga scala. Lo studio “non si focalizza però solo sugli aspetti critici ma anche sulle buone pratiche, come quelle messe in atto dalla procura di Tivoli, dove le denunce in pochi anni sono raddoppiate”, precisa la curatrice, che sottolinea il “dialogo costruttivo con il governo italiano e la collaborazione con i rappresentanti della società civile”.
Sul fronte Codice rosso, da segnalare positivamente la criminalizzazione dei matrimoni forzati ma per fare un bilancio bisognerà aspettare. In generale il Grevio – che fa parte di un’organizzazione composta da 47 paesi di cui 28 della UE – invita l’Italia ad agire con urgenza, introducendo una valutazione sistematica di tutte le leggi per analizzare l’impatto sulle relazioni tra i sessi e la violenza contro le donne e il rispetto degli standard. “Vi è la necessità di fondare tutte le politiche sulle misure che potenziano l’autonomia e la parità di genere a ogni livello. Gli interventi devono riguardare non solo azioni penali e sanzioni, ma anche prevenzione, protezione e politiche: le 4 P della Convenzione di Istanbul”, conclude Olsen. “Il rapporto del Grevio sull’Italia conferma la distanza tra la teoria dell’impianto legislativo e la pratica: si devono garantire i mezzi, la formazione e sensibilizzazione di tutti i professionisti coinvolti per attuare le leggi, che anche se buone non ottengono i risultati previsti”, il commento dell’Associazione DI.RE – Donne in rete contro la violenza.