Adoro il rito della buonanotte. Quell’attimo sospeso in cui si placa finalmente il frastuono della giornata e si rallenta il ritmo per essere accolti dalle avvolgenti braccia di Morfeo. Un momento di passaggio a volte difficile per i bambini, che devono lasciarsi andare al buio, al silenzio e alla solitudine della notte. Per le mie figlie, un momento da sempre particolarmente delicato. E noi, come molte famiglie, abbiamo costruito il nostro rituale speciale per renderlo piacevole e facile. E anche io, in realtà, non posso più farne a meno, molto meglio di qualsiasi training autogeno per dimenticare le arrabbiature della giornata e prepararsi al meglio al riposo notturno .
“Sentite, questa cosa del bacio della buonanotte non si può evitare?”, dice mia figlia maggiore con aria scocciata dall’alto dei suoi quasi 12 anni, sdraiandosi nel letto, qualche sera fa.
Io e mio marito ci guardiamo un po’ perplessi, optiamo per una rapida carezza e con la coda tra le gambe usciamo dalla stanza. Al che, mia figlia riemerge da sotto le coperte ed esclama: “Ma come, stasera non rimane nessuno qui con noi a farci compagnia mentre ci addormentiamo?”. Prendo la palla al balzo e non mi faccio sfuggire l’occasione per ribattere: “Scusami tesoro, ma se sei troppo grande per i baci della buonanotte sei anche in grado di stare qui da sola ad addormentarti, no?”. Mi sono comunque seduta nella penombra della stanza ad aspettare di sentire i loro respiri acquietarsi e diventare pesanti e ho pensato: eccola qui, è arrivata la preadolescenza.
Da qualche settimana mia figlia non è più lei. O almeno non sempre: alterna momenti di silenzio, arrabbiature senza alcun motivo oggettivo, sbalzi improvvisi d’umore, aria strafottente, a momenti di dolcezza e tenerezza in cui la ritroviamo. Ho parlato con le altre mamme della classe e mi hanno rassicurata, i sintomi sono comuni, anche a casa loro è tutto uno sbattere di porte. “Dov’è mia figlia? Ridammela!”, ho pensato diverse volte, guardando questa ragazzina che mi guarda direttamente negli occhi ormai, essendo alta praticamente come me.
Preadolescenti: non più bambini, ma non ancora ragazzi, iniziano a staccarsi dal mondo idealizzato e protetto dell’infanzia per avventurarsi nel mondo esterno, verso l’autonomia dell’età adulta. I ragazzi cominciano a guardarsi attorno, a mettere in discussione le figure genitoriali e i modelli familiari per cercare nuovi punti di riferimento che li aiutino a costruirsi la loro identità. I ragazzi oscillano tra la voglia di andare con le proprie gambe, sperimentare l’ambiente extrafamiliare, attratti dai nuovi stimoli, e il bisogno di tornare al nido per essere protetti e rassicurati. È un processo naturale di crescita, una tappa di passaggio.
Questa la teoria, ma nella realtà non è per niente facile per gli adulti stare al passo. Il lavoro più grosso lo dobbiamo fare noi. Il cambiamento è repentino e richiede ai genitori una buona capacità di adattamento e di rinegoziazione del rapporto e delle regole. Posso rimanere un po’ più sveglia la sera? Posso andare da sola? Dai, non c’è bisogno che mi baci proprio davanti a scuola! Ma proprio dei genitori fissati con le cose sane e biologiche mi dovevano capitare?
Richieste e osservazioni che ci spiazzano, ma a cui dobbiamo rispondere con fiducia perché sono parte integrante di un processo sano che porterà i nostri figli all’individuazione.
“Mamma, l’anno prossimo alle medie posso andare la mattina a scuola da sola con la mia amica?”.
“Certo.”
Silenzio. “Ma il primo giorno mi accompagni, vero?”