
La finanza digitale come utile strumento di promozione dell’inclusività finanziaria, di democratizzazione dei mercati, in quanto amplia l’accesso agli investimenti a chi normalmente non vi si avvicina, per diffidenza o perché ritiene di non avere le adeguate competenze. In particolare le donne, che risultano più propense degli uomini a investire nelle campagne di equity crowdfunding e a destinare importi mediamente più alti, minando dal basso la narrazione che vede la finanza appannaggio quasi esclusivo del sesso maschile. E un analogo ragionamento si può fare per le minoranze etniche.
È quanto emerge dallo studio “I mercati finanziari digitali sono inclusivi? Evidenza dagli investitori nell’equity crowdfunding” realizzato da un team di ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano e dell’Università di Bergamo e finanziato con fondi del Pnrr nell’ambito del progetto GRINS.
Lo studio
L’analisi – condotta dal 2016 al 2023 su rigorose basi scientifiche – ha preso in considerazione 20.209 individui registrati su una delle più grandi piattaforme di equity crowdfunding attive nel mercato italiano, di cui 14.777 (73,1%) investitori con una somma iniziale media di 3.250 euro. Le donne rappresentano il 12,1% degli iscritti (2.440 persone) e tra gli investitori la percentuale sale al 12,6% (1.859), ma è ancora più elevata in regioni come Friuli Venezia-Giulia (18%), Basilicata (16,7%), Sardegna (15,1%), Lazio (13,7%), Piemonte (13,4%), Lombardia e Valle d’Aosta (13,3%), Toscana (13,2%).

Cifre molto superiori a quelle a cui ci ha abituato la finanza tradizionale, dove le donne che investono arrivano a malapena al 6%, secondo uno studio sul mercato internazionale condotto dall’Università di Harvard. E non basta, nell’equity crowdfunding le donne hanno una probabilità di investire maggiore dell’1,04% rispetto agli uomini e quando lo fanno destinano cifre più alte di circa 505 euro, pari a +15,5% sui 3.250 euro di investimento medio.
Il ruolo della finanza digitale
«L’analisi, una delle prime di questo tipo condotta su larga scala, dimostra il ruolo della finanza digitale nella promozione dell’inclusività finanziaria, perché favorisce l’accesso agli investimenti a chi è stato finora sottorappresentato – commenta Vincenzo Butticè, professore associato della School of Management del Politecnico di Milano, autore dello studio insieme a Valerio Lo Monaco, Benedetta Montanaro e Silvio Vismara -. Spostando il focus analitico dagli imprenditori agli investitori, abbiamo esaminato se i gruppi tradizionalmente sottorappresentati nei mercati finanziari convenzionali mostrassero modelli di partecipazione diversi nel contesto dell’equity crowdfunding, dimostrando che le donne in primis, ma anche le minoranze etniche, sono in effetti più propense a investire e tendono a impegnare capitali più consistenti».
Generazioni e geografie a confronto
Lo studio analizza nel dettaglio gli iscritti alla piattaforma esaminata anche sotto altri punti di vista: ad esempio, si tratta di individui che hanno un’età media di 45 anni, 7.870 di loro (38,9%) risiedono in aree metropolitane e 360 (1,8%) appartengono a minoranze etniche, 11.625 (57,5%) possiedono un titolo di studio universitario o equivalente, e 4.915 (24,3%) sono imprenditori o manager. Confrontando gli investitori con i non investitori, i primi sono significativamente più anziani (46 anni contro 41 anni), vivono maggiormente in un’area metropolitana (39,7% contro 36,9%), hanno più probabilità di possedere un titolo di studio universitario o equivalente (59,3% contro 52,7%) e di essere imprenditori o manager (25,9% contro 20,1%).
«Concentrandoci sugli individui che forniscono capitali anziché su chi li richiede – aggiunge Silvio Vismara, professore ordinario presso l’Università di Bergamo – crediamo di offrire una comprensione più completa di come la finanza digitale rimodelli le dinamiche di partecipazione, quanto meno in Italia, che è comunque un contesto prezioso data la precoce adozione di questi strumenti nel nostro Paese. I nostri risultati possono avere implicazioni sia politiche che pratiche: quadri normativi che riducano gli attriti amministrativi e incoraggino la trasparenza delle piattaforme potrebbero aumentare ulteriormente la partecipazione».
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