Le parole che frenano le donne (anche quando vogliono aiutarle)

In economia, come nella vita, non basta essere brave: bisogna anche essere descritte nel modo giusto. Una parola come “brillante” può cambiare un concorso. Una come “diligente” può rallentare una carriera. E quasi sempre, la prima va agli uomini, la seconda alle donne.

Con le colleghe Audinga Baltrunaite e Lucia Rizzica abbiamo provato a capire quanto il linguaggio pesi davvero nella carriera delle persone. Abbiamo analizzato 25 mila lettere di referenza scritte nell’arco di dieci anni per oltre 8 mila candidati e candidate a posizioni accademiche o di ricerca in economia e finanza.

Per farlo, abbiamo usato tecniche di Natural Language Processing, una branca dell’intelligenza artificiale che permette di “insegnare” a un computer a riconoscere parole e significati ricorrenti in grandi quantità di testi. In pratica, abbiamo chiesto agli algoritmi di mostrarci come le persone descrivono altre persone.

Il risultato è stato tanto chiaro quanto difficile da ignorare. Gli uomini vengono descritti più spesso come brilliant, outstanding, exceptional — parole che evocano il talento, la genialità, l’originalità. Le donne, invece, sono più frequentemente associate a termini come hardworking, diligent, reliable — che parlano di impegno, costanza, serietà.

Due registri diversi, due modi diversi di riconoscere il valore. A prima vista, si potrebbe pensare che essere definite “instancabili” o “affidabili” non sia un male. E infatti non lo è, di per sé. Ma il problema nasce quando il linguaggio diventa una lente attraverso cui filtriamo il merito: la brillantezza resta prerogativa maschile, la fatica virtù femminile.

Il nostro studio, pubblicato sull’European Economic Review, mostra che le parole hanno un impatto misurabile sulla carriera. Essere descritti come “brillanti” aumenta in modo significativo la probabilità di ottenere un primo impiego in un’università di fascia alta. Al contrario, essere etichettati come “diligenti” riduce le possibilità di successo, e gli effetti si trascinano nel tempo: chi viene raccontato come geniale tende a pubblicare di più e a progredire più rapidamente.

Questi schemi linguistici non sono consapevoli, né necessariamente malintenzionati. Sono bias impliciti, riflessi culturali che ci accompagnano fin da bambini. E, come tutte le abitudini mentali, sono difficili da riconoscere in sé stessi.

Nel nostro campione, le differenze sono più marcate nelle lettere scritte da uomini senior — non perché siano “sessisti”, ma perché sono cresciuti in un contesto dove certe associazioni tra genere e talento erano semplicemente date per scontate.

La questione del linguaggio non riguarda solo l’accademia. Ogni volta che in un contesto professionale scriviamo una valutazione, un feedback, una recensione di performance, scegliamo parole che riflettono — e rinforzano — i nostri pregiudizi. E così, nelle aziende come nelle università, le donne continuano a essere descritte come “serie”, “affidabili”, “collaborative”, mentre i colleghi uomini sono “visionari”, “brillanti”, “decisivi”. Gli aggettivi cambiano, ma la musica resta la stessa.

Cosa possiamo fare? La prima risposta è la consapevolezza. Sapere che i bias linguistici esistono è già un passo per disinnescarli. La seconda è la struttura: scrivere referenze o valutazioni secondo modelli standard, con domande precise su competenze e risultati, aiuta a ridurre lo spazio dell’impressione personale. La terza — la più difficile — è la responsabilità individuale. Guardare le proprie parole con occhio critico, chiedersi se stiamo premiando il talento o la familiarità, la performance o lo stereotipo.

Non dobbiamo censurare il linguaggio, ma usarlo con consapevolezza. Perché ogni parola che scegliamo può aprire o chiudere una porta. E perché, in fondo, le parole non descrivono solo la realtà: la costruiscono.

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L’autrice è coautrice, con Audinga Baltrunaite e Lucia Rizzica, dello studio “Women in Economics: The Role of Gendered References at Entry in the Profession”, pubblicato sull’European Economic Review, 2025

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