
Dal 2004 ad oggi l’occupazione femminile dipendente è cresciuta del 25%, ma tutto l’incremento è dovuto alla componente con più di cinquant’anni, perché per le categorie più giovani la dinamica è negativa. La disaggregazione dei dati per classe d’età mostra infatti un andamento nettamente divergente: le giovani under 25 calano da 100 a 66 e le donne adulte (25-49 anni) calano da 100 a 94; solo le ultracinquantenni triplicano il loro numero passando da 100 a 286 e trascinando verso l’alto l’occupazione femminile dipendente totale.

Attualmente le donne over 50 costituiscono il 39% del totale delle occupate dipendenti; nel 2004 la loro quota raggiungeva solo il 17%. Questo cospicuo incremento riflette da un lato le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione di entrambi i generi, e dall’altro l’effetto delle riforme del sistema pensionistico il cui impatto è stato particolarmente marcato sul genere femminile.
L’occupazione femminile over 50 aumenta più di quella maschile
L’effetto dell’invecchiamento strutturale della popolazione sulla crescita dell’occupazione dipendente over 50 emerge dai dati della Tabella 1, che riporta, per ciascuna categoria, sia il numero dei dipendenti in valore assoluto al 2004 e al 2024, sia l’incremento percentuale registrato ponendo il 2004 uguale a 100. Nel corso del ventennio la popolazione femminile over 50 aumenta del 23%, ma l’occupazione dipendente aumenta molto di più, passando da 100 a 286, e aumenta in misura anche maggiore la componente laureata, che passa da 100 a 353, facendo registrare l’incremento più consistente tra tutte le categorie considerate (Figura 2).
Si noti che per la componente maschile l’invecchiamento della popolazione fa registrare un valore più elevato di quello della componente femminile (l’indice degli over 50 passa infatti da 100 a 127), mentre il dato riferito all’occupazione dipendente e quello riferito ai laureati risultano ben al di sotto di quelli della componente femminile (rispettivamente 210 contro 286 e 220 contro 353).


Le donne della Rivoluzione silenziosa
Le donne che oggi sono nella fascia over 50 appartengono per la maggior parte alla generazione del baby-boom, la più numerosa del dopoguerra. Le donne nate in quel periodo hanno fatto scelte di vita molto diverse da quelle delle loro madri; hanno dapprima studiato per conseguire un titolo di studio professionalizzante, poi hanno affrontato una lunga ricerca del primo impiego senza lasciarsi scoraggiare da un tasso di disoccupazione giovanile che alla fine degli anni ’80 superava il 40% (Oecd 2025), e quando hanno conquistato il loro posto di lavoro, cogliendo le opportunità offerte dal processo di terziarizzazione dell’economia, sono riuscite a mantenerlo conciliando famiglia e carriera, accumulando competenze e maturando esperienze nel corso degli anni, invecchiando di pari passo fino ai giorni nostri; adesso sono ben oltre l’età pensionabile in vigore prima delle riforme, ma non possono uscire dalla forza lavoro con le stesse regole del passato.
Claudia Goldin (Premio Nobel per l’Economia 2023) ha sottolineato il ruolo fondamentale di questa generazione di donne per la crescita dell’economia e ha denominato Rivoluzione silenziosa la progressiva e ininterrotta crescita dell’offerta di lavoro femminile «che ha trasformato l’occupazione, l’istruzione e la famiglia». In tale contesto, afferma Claudia Goldin, «gli agenti economici non lavorano soltanto perché hanno bisogno di denaro per sé e per le loro famiglie, ma anche perché il lavoro e la professione definiscono l’identità basilare e il valore sociale di ciascuno».

Age management per uscire dall’Hotel California
Attualmente le over 50 superano i 3 milioni di occupate dipendenti in valore assoluto, e quasi la metà di loro (46%) è concentrata nei tre settori della Pubblica amministrazione, Istruzione e Sanità (Figura 3). Si tratta di un numero cospicuo, e proprio la sua consistenza numerica richiede interventi di gestione del personale per evitare che le donne della generazione del baby boom si sentano imprigionate nell’Hotel California, un luogo dove restare non è più una scelta, né per loro, né per i loro datori di lavoro. Per le donne over 50 questa condizione è in netto contrasto con la loro storia e col loro vissuto fatto di scelte importanti e di rottura rispetto al passato; adesso per la prima volta si trovano invece bloccate in un contesto in cui si può solo aspettare che il tempo passi.
Questa situazione è subita con preoccupazione anche dalle aziende; al crescere del numero delle over 50 si diffonde infatti la percezione di una produttività in declino, di competenze che diventano obsolete, di ridotte capacità di innovazione e apprendimento, di resistenza al cambiamento, di posizioni apicali bloccate e inaccessibili alle nuove generazioni, e di retribuzioni che continuano a crescere per forza di inerzia con l’anzianità di servizio.
E’ in questo contesto che trova la sua ragion d’essere la politica di age management, ovvero la ricerca di una composizione equilibrata delle risorse umane per classe d’età che non metta in conflitto la permanenza inerziale in azienda della componente più anziana con la possibilità di rinnovare le professionalità e le competenze grazie all’inserimento lavorativo dei giovani.
Stereotipi di genere e di generazione
L’age management è la pratica che coordina le attitudini e le competenze di persone di età differenti governandone le assunzioni di responsabilità, l’affidamento dei ruoli e le procedure di valutazione. In tale contesto, il trasferimento di conoscenze non deve essere unidirezionale ma reciproco, la conciliazione vita lavoro non deve riguardare solo le donne, la formazione deve essere incentivata, i cambiamenti di mansione devono essere agevolati, e tutte queste decisioni devono essere libere dal condizionamento degli stereotipi.
All’inizio di questo secolo l’Organizzazione mondiale della sanità ha affermato che «l’invecchiamento della popolazione è uno dei maggiori trionfi dell’umanità, ma rappresenta anche la più grande sfida del ventunesimo secolo» perché il condizionamento degli stereotipi si pone come impedimento alla valorizzazione della diversità e all’identificazione del potenziale produttivo delle persone. Le donne della Rivoluzione silenziosa devono ancora lottare e affrontare quest’ultima sfida, perché solo attivando meccanismi di protezione dai condizionamenti degli stereotipi di genere e di generazione la diversità potrà portare riconoscimenti per i dipendenti e produttività per le aziende (Oecd 2023).
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