«Quando una mamma muore durante la gravidanza o al parto, anche la vita del suo bambino è a rischio. Troppo spesso perdiamo entrambi per cause che (invece) sappiamo come prevenire». Lapidario il commento di Catherine Russel, direttrice esecutiva di UNICEF, dalle pagine di presentazione del report “Trend in maternal mortality” dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).
Rispecchiando la realtà dei fatti, la chiosa della Russel tocca l’aspetto più drammatico di una situazione generale che, comunque migliorata negli anni, mostra di aver rallentato il passo. Le sue parole infatti descrivono epiloghi non così infrequenti e che tutt’oggi, nel quadro più ampio, mostrano persistenti e molto profonde disparità. Geografiche oltre che razziali.
I dati
Prima di approfondire le criticità evidenziate dallo studio Oms, c’è da confermare la scintilla positiva. Come mai prima, infatti, le donne hanno grandi possibilità di sopravvivere una gravidanza e un parto. I dati mostrano infatti che dal 2000 il rischio di mortalità materna è sceso del 40% su scala globale. La ragione principale? Un migliore accesso alle cure e servizi essenziali per il benessere femminile pre e post parto.
Il ritmo del progresso ha però iniziato a frenare nel 2016, per poi toccare il picco negativo di decessi materni nel 2021. Se questi ultimi numeri avevano visto l’impatto degli effetti della pandemia – solo l’anno dopo erano risaliti infatti ai livelli del 2020 – comunque nel 2023 sono state ancora 260 mila le madri morte in gravidanza o nel dare alla luce il proprio figlio. Messa in termini temporali su dodici mesi, significa il decesso di una donna incinta o una partoriente ogni due minuti.
Presentando lo studio il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, scriveva: «i dati sottolineano quanto la gravidanza sia oggi (ancora) pericolosa in molte parti del mondo nonostante esistano soluzioni per prevenire e trattare le complicazioni, causa della maggior parte delle morti materne».
Tagli ai fondi: rischi per la salute
Tra conflitti armati, guerre tariffarie e la revisione delle spese e i conseguenti tagli agli aiuti internazionali, crescono i rischi e si fanno passi indietro.
Ultima notizia e più eclatante in questo senso, la decisione americana di congelare o ritirare del tutto il sostegno ai programmi di prevenzione e supporto alla salute nelle aree del mondo più in difficoltà. Un passo indietro che in molte Paesi sta già impattando già anche l’accesso ai servizi di base. Non si tratta infatti solo della riduzione drastica delle cure pre natali e post part. Ma anche della chiusura forzata di centri per la salute, della perdita di operatori sanitari e dell’interruzione delle catene di approvvigionamento di strumenti e medicine. Prodotti salvavita efficaci, specifica l’OMS, come gli antiemorragici, gli antimalarici e i trattamenti pre-eclampsia.
La conseguenza è che si sta verificando una situazione simile a quella sperimentata durante gli anni del Covid, con un impatto sulla riduzione, se non proprio l’eliminazione totale, di servizi chiave e cure essenziali da parte di personale specializzato. Il 2021 era stato anno da record in termini di decessi materni. Causa chiusure e restrizioni dei contatti per contenere i contagi, la stima del numero di quante sono morte durante la gravidanza o al parto è stata di 322 mila. Cioè 40mila in più rispetto ai 12 mesi precedenti – che già avevano confermato comunque un andamento in salita iniziato alcuni anni prima.
Per quanto non ancora con le stesse cifre in generale, il rischio è tornare a livelli critici specialmente in tutti quei luoghi dove la disponibilità di cure è un privilegio più che un diritto. Per esempio, seppure l’Africa sub-sahariana sia stata la regione dove si è verificato nel tempo il progresso maggiore, ancora nel 2023 gli alti tassi di povertà e i conflitti locali continui hanno fatto registrare lì il 70% delle morti materne.
Secondo l’OMS ricade su tutti la responsabilità di provvedere a un sistema adeguatamente finanziato che protegga la vita umana in ogni area del mondo. Anche perché, a ben vedere, nonostante l’avanzamento della scienza e la consapevolezza condivisa di come si possono affrontare rischi evitabili, restiamo lontani dal target indicato dalle Nazioni unite. «A livello globale» si legge nelle pagine di presentazione del report, «il tasso di mortalità materna dovrebbe ridursi di circa il 15% ogni anno per raggiungere l’obiettivo del 2030, aumentando significativamente agli attuali livelli di calo annui di circa l’1,5%.»
Negli USA, quanto conta l’etnia?
Tra i Paesi sviluppati, un caso particolare è quello degli Stati Uniti. Per quanto in termini assoluti il numero delle morti materne appare in stallo dal 2015, e come nel resto del mondo, i livelli massimi di morti materne registrati negli anni post-Covid sono poi diminuiti, resta evidente e degno di nota il persistere di evidenti gap etnici. A sottolineare la grande disparità presente tra gruppi demografici, uno studio dell’università di Oxford, pubblicato qualche giorno fa sulla rivista JAMA Pediatrics*.
Secondo questa analisi, tra il 2000 e il 2023 la mortalità materna tra le donne nere non-ispaniche è rimasta tre o quattro volte superiore a quella registrata tra le donne bianche non-ispaniche. Su 100 mila morti, stiamo parlando rispettivamente di 20,7 contro 5. Situazione che peggiora se si guarda ai numeri registrati tra le native americane e dell’Alaska. In questo specifico gruppo, la media di 10,7 decessi per 100 mila nascite pre-Covid triplicata durante la pandemia, è arrivata a 27,5.
In generale, anche negli Stati Uniti la mortalità delle (neo)madri nel 2023 è calata rispetto all’anno precedente, raggiungendo una media di 18,6 decessi ogni 100 mila nati – contro i 22,3 del 2022. Ma anche i dati del National Center for Health Statistics confermano i tassi massimi registrati tra le donne nere non ispaniche. Lo studio diffuso in febbraio, specifica anche che i livelli minimi di mortalità materna si trovano tra le under 25 anni (12,5 per centomila). A seguire, nella fascia 25-39 (18,1) e in coda, quota massima, tra le ultra quarantenni (59,8).
—
* Nel descrivere la situazione corrente, la ricerca “Trends in Maternal, Fetal and Infant Mortality in the US, 2000-2023”, ha guardato anche a come l’introduzione di una casella di controllo specifica “per gravidanza” sui certificati di morte abbia influenzato i tassi di mortalità. A partire dagli Stati che hanno implementato questa pratica.
***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com