Imprese, il bilanciamento di genere ai vertici abbassa il rischio creditizio del 30%

C’è una relazione virtuosa tra bilanciamento di genere nelle imprese e rischio di credito: le aziende più equilibrate dal punto di vista del “gender gap”, soprattutto ai livelli apicali, avrebbero fino al 30% in meno di probabilità di default rispetto a quelle che non lo sono, e hanno mostrato di saper mantenere standard creditizi elevati anche negli ultimi 10 anni, caratterizzati da contesti di policrisi.

Stando ai dati di febbraio 2025, infatti, sia le aziende con ceo donna e il consiglio di amministrazione o un organo di governo a prevalenza maschile, sia quelle a relazione invertita (ceo uomo affiancato dal cda o un organo di governo con almeno il 20% di presenza femminile), presentano un rischio di default molto simile (rispettivamente 3,6% e 3,9%) e nettamente inferiore a quelle in cui la leadership è fortemente polarizzata sui generi: tutta maschile (5,8%) o tutta femminile (6,3%). E questo vale indipendentemente dalle dimensioni aziendali (dal -14% delle grandi imprese al -31% delle micro), dal settore di appartenenza e dall’area geografica.

Sono le principali evidenze emerse dall’Osservatorio sulle tematiche di genere di Cerved Rating Agency, l’agenzia di rating italiana specializzata nella valutazione del merito di credito di imprese e nella misurazione delle performance ESG, che ha analizzato le oltre 13.000 società di capitali per le quali ha emesso un rating creditizio.

«I risultati del nostro Osservatorio sul gender gap confermano la presenza di una relazione tra bilanciamento di genere e rischio creditizio – commenta Fabrizio Negri, amministratore delegato di Cerved Rating Agency -. I dati indicano, infatti, che le imprese con una maggiore inclusione di genere presenterebbero anche una minore rischiosità creditizia, fino al 30%, e una maggior tenuta agli shock esogeni susseguitesi negli ultimi 10 anni. Queste risultanze, sebbene rilevanti, non implicano necessariamente una relazione di causalità, ma rappresentano uno stimolo al monitoraggio continuo del fenomeno, come supporto alla discussione accademica e con potenziali implicazioni per istituzioni, investitori e imprese».

Inferiore la probabilità di default

In Italia è censito un numero all’incirca paritario di uomini e donne, tuttavia il tasso di occupazione femminile rimane ancora inferiore rispetto a quello maschile (53,6% contro 71%) così come la presenza di consigliere di cda (27,5%) e di amministratrici d’impresa (25,5%). Eppure, una quota femminile più consistente negli organi di governo, ad esempio superiore al 20%, è correlata a un minor livello di rischio creditizio, 4.9% contro 5.7%, cioè una probabilità di default inferiore di circa il 13%.

Il divario ai vertici delle imprese si riduce se si considerano le organizzazioni internazionali e i tradizionali settori “di cura” (sanità, servizi sociali, gestione di personale domestico, istruzione), dove la presenza di ceo donna va dal 33% al 50%, mentre è particolarmente evidente nelle costruzioni, nelle forniture di energia e di acqua, nei servizi finanziari e assicurativi, dove la percentuale scende tra il 16% e il 20% circa. Le aziende con oltre il 20% di donne nei CdA sono percepite come meno rischiose anche nei singoli settori produttivi: -27% nel manifatturiero e nel commercio, -32% nei servizi, -35% nelle costruzioni e real estate.

Anche rispetto alla distribuzione geografica, le imprese con un maggiore bilanciamento presentano livelli di rischiosità decisamente inferiori rispetto a quelle più polarizzate sui generi: la differenza più evidente è nel Centro (-38%) e nel Sud e Isole (-34%), mentre al Nord si attesta al -28%.

Venendo al dettaglio delle singole regioni, il divario più marcato si ha in Molise, dove le imprese senza bilanciamento di genere hanno una probabilità di default del 7,8% contro il 2,5% di quelle gender-balanced, in Sardegna (7,9% contro 2,8%), Calabria (7% contro 2,5%) e Basilicata (7% contro 3,6%).