I diritti sessuali sono diritti umani, inalienabili e universali: a riconoscerlo è l’Organizzazione mondiale della sanità, inserendoli nel glossario su genere e salute riproduttiva. Ciò nonostante, di sesso e diritti si parla poco. E si conosce ancora meno. Come riporta la dichiarazione “Sexual Health for the Millennium”, frutto di un lungo e approfondito lavoro di consultazione internazionale compiuto su mandato della World Association for Sexual Health, la salute sessuale va oltre l’assenza di malattia: il piacere e la soddisfazione sessuale sono parte integrante del benessere e richiedono universale riconoscimento e promozione. Quello che avviene, però, è il contrario: «Il piacere sessuale come aspetto basilare della sessualità umana rimane ignorato o stigmatizzato nella politica e nei programmi di promozione della salute – evidenzia il rapporto – dando come risultato una segmentazione della sessualità umana».
Le conseguenze si pagano anche sul piano della prevenzione e dell’educazione sessuale: stigmatizzare il piacere sessuale significa ostacolare il diritto a una sessualità consapevole e più sicura. Lo scorso 1° dicembre si è celebrata la giornata internazionale di lotta all’Aids, istituita nel 1988 dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ma l’ignoranza riguardo le infezioni sessualmente trasmissibili rimane ancora ancora elevata. «In Italia più della metà delle nuove diagnosi sono diagnosi tardive. Questo significa che le persone scoprono di aver l’Hiv quando già cominciano a sviluppare i sintomi della malattia, ovvero l’Aids» spiega Filippo Leserri, presidente di Plus Roma: «Un’associazione composta da persone Lgbt+ che vivono con l’Hiv – spiega il presidente Leserri – E che si occupa principalmente di promuovere la qualità della vita e l’empowerment delle persone sieropositive». Per sostenere la salute e il benessere sessuale, contrastando anche l’Hiv, è necessario agire congiuntamente sul piano scientifico e su quello sociale. Oggi il secondo ha spazi decisamente meno importanti e l’Hiv non decresce agli stessi ritmi dei progressi della ricerca.
In Italia crescono le diagnosi tardive di Hiv
In Italia, i recenti dati raccolti dall’Istituto superiore di sanità, mostrano un aumento delle nuove diagnosi di Hiv, riportando l’attenzione sulla necessità di fare prevenzione con un approccio differente che guardi ai diritti sessuali in relazione al benessere e non alla paura.
Nel 2023 in Italia sono state registrate 2.349 nuove diagnosi di Hiv, un numero in crescita rispetto alle 2.140 del 2022 e vicino alle 2.510 del 2019, prima della pandemia di Covid-19. I maschi nella fascia 30-39 anni si confermano il gruppo con una maggiore incidenza di nuove diagnosi; mentre per le donne la fascia più colpita è quella tra i 20 e i 29 anni. Le tre città con l’incidenza maggiore nel 2023 sono state Roma, Milano e Bologna.
Il principale motivo di accesso al test nel 2023 è stato la presenza di una “sospetta patologia correlata all’Hiv” o di sintomi associati al virus, registrato nel 35% dei casi. Seguono i comportamenti sessuali a rischio (19,6%). Il 12,3% delle nuove diagnosi è emerso durante controlli di routine, screening o campagne informative.
Insieme all’incidenza di nuove diagnosi crescono anche i tempi in cui viene diagnosticata l’infezione da Hiv. Nel 2023 più di un terzo delle persone con nuova diagnosi Hiv ha effettuato il test in seguito alla presenza di sintomi o patologie correlate all’infezione e un quinto lo ha effettuato in seguito a comportamenti sessuali a rischio di infezione.
Tuttavia, secondo il rapporto dell’Iss, l’Italia, in termini di incidenza delle nuove diagnosi Hiv, nel 2023 si colloca al di sotto della media calcolata nei Paesi dell’Europa occidentale (6,2 per 100.000 residenti). «Anche se, soprattutto grazie alle nuove terapie, l’Aids non rappresenta più l’emergenza sanitaria di qualche tempo fa, non dobbiamo spegnere i fari su questo problema. Occorre lavorare sulla prevenzione, soprattutto tra i giovani» ha commentato Anna Teresa Palamara, che dirige il Dipartimento malattie infettive dell’Iss.
Abbattere lo stigma e vivere il sesso “autodeterminandosi”
Il benessere sessuale, come la salute sessuale, è una responsabilità individuale e collettiva insieme: gravano sulle diagnosi in aumento il tabù e lo stigma sui test.
«I tanti progressi fatti dalla ricerca e dalla scienza nel tempo hanno permesso alle persone con Hiv di vivere serenamente con persone senza Hiv. Ma allo stesso tempo oggi ancora nel mondo ci sono persone che muoiono di Aids – sottolinea Leserri ad Alley Oop – Le diagnosi di Hiv tardive sono il sintomo di un aspetto molto importante: le persone non fanno i test. Perché se li facessero verrebbero prima a conoscenza del loro stato sierologico e quindi potrebbero subito iniziare la terapia che, nel giro di pochi mesi, consente di non trasmettere più il virus. La terapia rende la quantità di virus nel sangue talmente bassa che viene definita non rilevabile. Quindi in quel caso la persona non trasmette più il virus».
Test gratuiti e anonimi, counseling e supporto: i servizi dei checkpoint
Plus è la prima organizzazione italiana di persone lgbt+ con Hiv e “sierocoinvolte” che ha lo scopo di tutelare dal punto di vista sociale, sanitario e umano le persone che vivono con Hiv.
Nasce nel 2020 dall’intuizione del giornalista e attivista Giulio Maria Corbelli di portare nella capitale il modello di Plus, associazione che ha contribuito a fondare a Bologna nel 2015. Plus Roma si contraddistingue per un approccio trasversale nella lotta allo stigma, alla pari e strettamente radicato all’interno della comunità. Con un approccio partecipato, sostiene le persone verso un graduale processo di visibilità e di crescita, incoraggiandole a mettere a disposizione degli altri il proprio vissuto.
Il checkpoint Giulio Maria Corbelli, gestito da Plus Roma, rappresenta uno dei centri gestiti dalla comunità Lgbt+ dove vengono offerti test rapidi per HIV e altre infezioni a trasmissione sessuale (IST). È un esempio di checkpoint “community based”, ovvero centri gestiti dalle associazioni, in collaborazione con i comuni e con le strutture sanitarie territoriali, dedicati alla prevenzione dell’Hiv e delle altre infezioni sessualmente trasmesse. In Italia se ne contano ventisei, da nord a sud.
Qui, oltre a potersi testare in modo anonimo e gratuito, è possibile ricevere counseling dagli operatori e dalle operatrici sulla salute sessuale. «Plus, con il checkpoint Corbelli, rappresenta un modello di sussidiarietà orizzontale per la cura: è un centro extra ospedaliero, quindi non medicalizzato, che non si sostituisce a ospedale bensì porta l’ospedale nei servizi di prevenzione. Questo perché, quando parliamo di infezioni sessualmente trasmesse, lo stigma rimane ancora elevato e diventa una barriera per accedere ai servizi di prevenzione» spiega il presidente Leserri, che continua: «Le persone hanno timore di recarsi in ospedale per testarsi o di parlare di sessualità con il medico di famiglia: provano vergogna, non vogliono sentirsi rimproverate o temono il giudizio. Io stesso, per vent’anni, non ho mai detto a nessuno di essere sieropositivo. Ma non si può vivere nascondendosi: per questo mi sono dedicato all’attivismo e ho deciso di essere visibile. Plus aiuta altre persone a farsi visibili».
Più di 2000 persone a Roma si sono rivolte al chekpoint romano “Corbelli”
Dall’apertura al primo semestre del 2024 si sono rivolte al checkpoint più di 2000 persone etero cis, maschi gay e bisex cis, persone trans e non-binarie, per usufruire dei servizi sulla salute e benessere sessuale; sono stati eseguiti più di 5000 test rapidi per Hiv, sifilide ed epatite c. Grazie ad una convezione, unico esempio in Italia, che ufficializza e regola la collaborazione scientifica con l’istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani, è il primo centro community based ad offrire in sede la PrEP gratuitamente: un farmaco di prevenzione che si assume prima e dopo un rapporto a rischio Hiv.
Il checkpoint offre anche altre attività quali: incontri di condivisione e awerness tra pari per persone che vivono con Hiv, oltre ad un servizio non medicalizzato di orientamento al benessere sessuale in collaborazione con il Dipartimento di psicologia della Sapienza.
«Plus lavora fuori dall’ospedale e al suo interno non ci sono figure sanitarie ma volontari e volontarie che eseguono il test Hiv tramite pungidito alle persone che si rivolgono a noi. In attesa dell’esito viene fatto un counseling: ovvero l’operatore o l’operatrice forniscono all’utente tutte le informazioni sulla prevenzione. Senza fare una selezione, così da dare l’opportunità di scegliere e valutare in libertà lo strumento di prevenzione più adatto ai propri bisogni» sottolinea Leserri, che aggiunge: «Nello spazio di counseling le persone possono anche parlare della loro sessualità senza sentirsi giudicate. Questo è importante perché, trattandosi di un contesto extra ospedaliero, le persone non avvertono vergogna nell’esprimere le loro richieste».
Il ruolo fondamentale dei checkpoint è riconosciuto anche nella revisione della legge nazionale sull’Hiv/Aids, la legge 135/90 attualmente in discussione alla Camera dei deputati. La proposta di legge, promossa dal deputato Mauro D’Attis che è anche promotore del gruppo interparlamentare “L’Italia ferma l’AIDS”, ha l’obiettivo di armonizzare la normativa in materia adeguandola ai progressi scientifici e normativi – tra cui il Piano nazionale Aids –, definendo gli strumenti da mettere in campo per la prevenzione, diagnosi e cura nonché correlandola alle altre malattie infettive diffuse in Italia.
Meno del 50% dei ragazzi usa il preservativo, serve “prevenzione integrata”
Come si legge nella dichiarazione “Sexual Health for the Millennium”, «la comunità internazionale sta riconoscendo e diffondendo sempre più il concetto di diritti sessuali. Tuttavia, fino ad oggi, la comunità e l’opinione nazionale ed internazionale hanno prevalentemente puntato l’attenzione sui diritti sessuali negativi (ad esempio, la libertà dalle MST/HIV, dalla violenza sessuale e dall’abuso), spesso con l’esclusione dei diritti sessuali positivi (ad esempio, il diritto al piacere e alla soddisfazione sessuale)». Mettere il piacere al centro dei programmi di promozione della salute sessuale per tutti i gruppi, compresi gli adolescenti e le persone con disabilità, consente di esprimere al meglio la realtà umana e incontrare i bisogni dei singoli, delle coppie, delle giovani generazioni. Non basta il diktat «usa sempre il preservativo» per educare a una sessualità libera, più sicura e consapevole: nel 2023 solo il 43% dei ragazzi ha dichiarato di usarlo regolarmente, contro il 57% del 2019 (dati della ricerca dell’Osservatorio “Giovani e sessualità” che Durex realizza da oltre sei anni su un campione di 15.000 giovani tra gli 11 e i 24 anni). Quello che risulta più efficace, secondo Leserri e l’esperienza raccolta da Plus, è «parlare di prevenzione integrata, ovvero fare in modo che le persone siano informate su tutte le possibilità: questo significa ricevere né raccomandazioni o consigli non richiesti ma informazioni chiare su tutti gli strumenti di prevenzione. Sarà poi la singola persona, in maniera assolutamente autonoma, a decidere quello più vicino ai suoi bisogni. Il diritto al piacere sessuale esiste e va riconosciuto a ogni singola persona senza nessuna differenza di genere e orientamento sessuale».
Per arrivare a tutte le persone, spiega il presidente di Plus, «quando parliamo di prevenzione partiamo sempre dal piacere sessuale: la prevenzione non è qualcosa che le persone possono fare unicamente per non contrarre infezioni. Ma è qualcosa che le persone possono scegliere, autodeterminandosi e quindi optando per lo strumento più vicino ai propri bisogni per godere liberamente della propria sessualità. “Il piacere sessuale, ognuno il suo”: questo è il nostro messaggio attraverso cui cerchiamo di capovolgere il punto di vista della prevenzione che vada oltre la paura ma si focalizzi invece sulla libera scelta e l’autodeterminazione».
Il diritto al piacere nei programmi di educazioni sessuale e prevenzione
Secondo l’ultimo Studio nazionale fertilità, oggi in Italia 8 studenti su 10 (medie, superiori e università) cercano le informazioni in ambito sessuale e riproduttivo su Internet, mentre solo 1 su 4 chiede in famiglia. Di questi, la maggior parte (94%) ritiene che debba essere la scuola a dover garantire l’informazione su sessualità e riproduzione.
Tuttavia, anche quando a scuola se ne parla, spesso non lo si fa in modo completo: l’87% dei partecipanti alla survey inglese Youth Trends Report 2023 ritiene che l’educazione sessuale nelle scuole abbia un approccio poco empatico e non tratti temi legati ad Hiv e Hpv.
Per decostruirne lo stigma a riguardo, invece, bisognerebbe parlarne. Prestando attenzione non solo ai contenuti ma anche alle modalità. «Gli educatori e gli operatori sanitari, nella loro formazione, sono stati spesso condizionati a concepire la salute sessuale in termini di diritti sessuali negativi – riporta l’analisi di “Sexual Health for the Millennium” – La formazione per gli educatori della salute sessuale e per gli operatori sanitari dovrebbe porre un’attenzione particolare alla promozione dei diritti sessuali positivi per le persone di tutte le età, al fine di contrastare l’accento prevalente sui diritti sessuali negativi».
In questa direzione bisognerebbe cominciare parlando molto di più di sessualità: «Normalizzare e “sdoganare” il piacere sessuale significa non avere timore di viverlo. E quindi cercare liberamente le informazioni legate alla sessualità. Il vuoto informativo a riguardo esiste perché si ha paura anche solo di cercare strumenti di prevenzione o autodeterminazione» sostiene Leserri, che conclude: «È come se i diritti sessuali non ci riguardassero. Invece la paura rispetto a un eventuale rischio è costruttiva se diventa consapevolezza».
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