Spesso partono, quasi mai ritornano. È la storia di molti giovani italiani. Una storia comune, soprattutto in alcuni territori. Sono le cosiddette aree periferiche a riempire i vagoni dei treni e le pance degli aerei per far espatriare intere generazioni. Negli ultimi 10 anni, quasi mezzo milione di persone tra i 18 e i 34 anni ha lasciato l’Italia. Secondo Fondazione Nord Est, la fuga del capitale umano è costata all’Italia circa 134 miliardi di euro. Tra chi è andato via, appena il 16% immagina di rientrare nei prossimi tre anni.
Identikit dei nuovi migranti
Al già ben noto flusso di emigrazione dal Sud al Nord Italia, che negli ultimi dieci anni ha visto 200 mila giovani laureati risalire la penisola abbandonando i propri territori di origine (dal 18% al 58% tra il 2002 e il 2022), si è aggiunta un’ulteriore tendenza: quanti lasciano le regioni del Nord Italia per trasferirsi all’estero. Le regioni che contribuiscono maggiormente a questo fenomeno sono la Lombardia e il Veneto. In termini relativi, ovvero in percentuale rispetto alla popolazione della classe di età 18-34 anni, invece, spiccano il Trentino-Alto Adige, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d’Aosta (nello specifico 5,8; 4,0 e 3,9%).
A partire sono soprattutto persone che hanno già concluso il loro percorso di formazione o che scelgono di trasferirsi all’estero per terminare il percorso di studi dopo la laurea triennale. La maggior vicinanza delle università estere al mondo del lavoro è, secondo Umberto Belluzzo, presidente dell’associazione United Italian Societies che riunisce giovani expat italiani in tutto il mondo, la principale ragione che spinge i ragazzi e le ragazze italiane a fare questa scelta. Segue la voglia di confrontarsi con un mercato del lavoro più meritocratico, in cui per i giovani c’è spazio reale per imparare, crescere e finanche sbagliare.
Le ragioni dell’emigrazione
E forse è proprio questo il punto. Non si emigra più – o non più solamente – per la mancanza di lavoro, ma per la ricerca di opportunità migliori e contesti culturali più in linea con le proprie aspettative e valori. I cluster analizzati da Fondazione Nord Est dimostrano, infatti, come gli expat cerchino condizioni lavorative in cui poter dimostrare le proprie capacità e competenze fin dal primo momento, accettando anche il rischio di essere licenziati, nella certezza che le occasioni professionali saranno numerose e facilmente individuabili. La rigidità del mercato del lavoro italiano, infatti, rappresenta non solo una delle ragioni di fuga, ma anche una delle barriere per un possibile rientro, a cui si aggiungono, come confermano gli expat di United Italian Societies, la mancanza di inclusione sul posto di lavoro, la presenza di bias e stereotipi di genere, il mancato dialogo tra generazioni e le basse remunerazioni.
I giovani, insomma, sono convinti che in Italia ci sia il rischio di rimanere a lungo nella condizione di partenza, professionale ed economica, senza poter accedere a ruoli apicali non solo in tempi brevi, ma nemmeno certi. E che in molti casi il mondo del lavoro sia ancorato a dinamiche patronali, poco evolute in termini organizzativi e culturali. Il problema, quindi, non è tanto – o non è solo – l’emigrazione, quanto piuttosto il mancato rientro.
L’Italia è poco attrattiva
Espatriare per formarsi, contaminarsi, osservare il mondo con lenti diverse, ha un indiscusso valore formativo, in termini di crescita personale e professionale. Ma l’Italia non sembra in grado, al momento, di attivare una circolarità dei talenti e di essere attrattiva. I rientri, infatti, sono poco meno di un terzo delle partenze. Per ogni giovane europeo che sceglie di venire a vivere in Italia, avverte Fondazione Nord Est, otto italiani se ne vanno. Rispetto al resto d’Europa, l’Italia è all’ultimo posto per capacità di attrazione di giovani: accogliamo solo il 6% di europei, contro il 43% della Svizzera e il 32% della Spagna. Eppure, oggi più che mai, è urgente contrastare questa tendenza.
Il rapporto Svimez evidenzia come entro il 2050 l’Italia potrebbe perdere 4,5 milioni di abitanti, con un peggioramento progressivo sia del saldo naturale (da -281mila nel 2023 a -446mila al 2050), sia di quello migratorio (da 274mila a 166mila). L’Italia sarà un paese con meno abitanti, meno giovane e meno attrattivo. Spopolamento e invecchiamento della popolazione interesseranno soprattutto il Mezzogiorno, in particolare Sardegna e Basilicata, rispettivamente -22% e -22,5%. Tutto ciò impatterà sulla sostenibilità sociale ed economica dei rapporti tra generazioni, come mostra l’andamento previsto per l’indice di dipendenza strutturale (IDS), espresso come rapporto tra la popolazione potenzialmente non attiva (giovani con meno di 15 anni e anziani con oltre 64 anni) e la popolazione potenzialmente attiva (con 15-64 anni di età). L’IDS nel Mezzogiorno passerebbe in un trentennio dal 55,6% a oltre l’87%.
Le strategie dei territori: il caso pugliese
Così, c’è chi prova ad arginare quest’onda, con la consapevolezza che proprio in questo periodo storico in cui si torna a cercare un profondo riallineamento tra valori personali e professionali, tra individuo e comunità, le aree periferiche potrebbero rappresentare una meta in cui approdare, più che un luogo da cui fuggire. In Puglia, ad esempio, la strategia #mareAsinistra richiama poeticamente il mare che ogni pugliese osserva alla propria sinistra quando “torna a casa”, da Nord a Sud, e si pone l’obiettivo di valorizzare e attrarre i talenti affinché rientrino o arrivino per la prima volta in regione.
La strategia, che vede insieme pubblico, privato e mondo accademico, guarda a studenti, startupper, talenti tecnologici e creativi internazionali, nomadi digitali, pugliesi di ritorno e nuovi investitori per fare della regione un luogo in cui vivere o trascorrere una parte importante della propria esperienza lavorativa, umana, professionale. “Un posto – si legge nel documento – in cui essere felici”.
Per questo, i temi su cui lavorare sono molti, a partire dall’innovazione sociale e aziendale, con l’adozione di modelli organizzativi che possano essere sostenibili per le famiglie, passando per la formazione continua con la creazione di una “comunità orientativa educante” dalla forte responsabilità sociale che attui percorsi orientativi improntati al lifelong learning, fino all’empowerment femminile: nel Mezzogiorno, infatti, appena il 35,3% delle madri con figli in età prescolare lavora (rispetto al 64% del Centro-Nord), anche a causa della carenza di posti disponibili negli asili nido, degli elevati costi di accesso al servizio e della scarsa diffusione del tempo pieno nelle scuole dell’infanzia. E la Puglia non fa eccezione, con appena il 35,4% delle donne occupate.
Chi vuole tornare?
Ma c’è anche un altro progetto che punta a far ritornare i talenti a Sud. È La Tornanza, iniziativa che promuove l’innovazione e la crescita attraverso il viaggio, la formazione e la circolazione delle esperienze, con un punto di osservazione spiccatamente economico. La Tornanza, che ha nell’omonimo libro il suo manifesto culturale (Laterza edizioni), sta mettendo in fila le storie di persone che dalle aree periferiche sono partite e che nelle aree periferiche stanno tornando per riscoprire le proprie radici e generare nuove iniziative imprenditoriali. «La sfida è epocale, l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle: se vogliamo ripopolare alcuni territori, è necessario partire da un approccio sociale e culturale per poi arrivare all’impatto economico. Il futuro si crea se si mettono in circolo idee ed esperienze, se generiamo innovazione e una nuova cultura imprenditoriale» – commenta Antonio Prota, fondatore del progetto.
Oltre al racconto (con eventi e videopodcast), La Tornanza è pronta a creare anche dei luoghi fisici di incontro, per favorire la contaminazione tra i talenti di rientro. Il primo hub di questo genere sarà alla Certosa di Padula, con la collaborazione de I Monaci digitali, un progetto etico improntato alla riscoperta della lentezza e della condivisione degli spazi lavorativi e domestici affinché con il lavoro da remoto possano invertire le tendenze occupazionali, sociali e demografiche attuali. Il secondo hub aprirà, invece, a Ferrandina, in Basilicata. E a seguire, prenderanno avvio le academy, ovvero dei percorsi di formazione itineranti che potranno favorire la nascita di nuove startup nei piccoli borghi italiani, contribuendo al loro ripopolamento e rinascita.
Le opportunità in campo: dalla Sicilia al Trentino
E non solo la Puglia. Anche la Sicilia si sta adoperando per creare nuove narrazioni anti-emigrazione. Negli ultimi 20 anni, oltre 560 mila siciliani hanno lasciato l’isola: un’onda che ha svuotato interi paesi e città. Il 32% dei giovani laureati siciliani ha lasciato la regione nel 2021 per mancanza di opportunità, un dato quintuplicato rispetto al 6% del 2001 (Svimez). In questo contesto, è fondamentale agire in ottica di sistema. Per questo è nata a fine 2024 la Fondazione Marea che ha l’obiettivo di creare nuove opportunità occupazionali in Sicilia con progetti ad alto impatto sociale che dovranno creare, entro il 2030, oltre 500 posti di lavoro e 25 nuove imprese.
«Abbiamo riunito 300 pionieri, persone accomunate dall’amore per la Sicilia, che hanno deciso di donare risorse economiche e competenze con l’obiettivo di costituire un fondo dedicato a sostenere progetti e iniziative ad alto impatto sociale» – spiega Antonio Perdichizzi, ideatore dell’iniziativa. E aggiunge: «La Fondazione non si limiterà a finanziare i progetti, ma li accompagnerà lungo tutto il percorso di crescita, offrendo programmi di incubazione e accelerazione progettati su misura. Attraverso open call regionali, raccoglieremo idee e soluzioni pratiche per creare nuovi posti di lavoro e migliorare la qualità della vita nel territorio».
Opera in un’ottica transfrontaliera, invece, il progetto europeo OUT4INGOV guidato dalla Provincia Autonoma di Trento, con quattro partner internazionali provenienti da Austria, Francia e Slovenia e la Fondazione Demarchi. Il progetto mira ad attivare strumenti per favorire il rientro di giovani qualificati nelle regioni montane, attivando nuovi meccanismi di governance condivisa per gestire i fenomeni migratori dei giovani nell’area alpina. Obiettivo: permettere il trasferimento delle competenze attraverso processi di “circolarità” e di ritorno, senza necessariamente prevedere la mobilità o il rientro fisico permanente delle persone.
Al contempo, anche Anci ha destinato un fondo da 7 milioni di euro per assegnare spazi pubblici inutilizzati in gestione ad under 35 affinché possano avviare progetti innovati ad alto impatto sociale. Il bando (che scadrà il 31 gennaio 2025) intende infatti supportare i Comuni nella creazione di opportunità di reddito e occupazione per i giovani, intercettando i bisogni delle comunità locali di riferimento.
Il modello emiliano-romagnolo
Ma ad aver fatto da apripista sul tema è stata l’Emilia Romagna che ha lanciato, prima in Italia, it-ER International Talents Emilia-Romagna, un programma realizzato e coordinato da ART-ER che raccoglie e sviluppa servizi e iniziative per studenti universitari, dottorandi, ricercatori, lavoratori qualificati, che desiderano trasferirsi o ritornare in regione. L’iniziativa, diventata poi legge regionale (legge 2/2023), prende in considerazione quattro aree: “moving to”, per informare chi si trova all’estero; “setting up” per aiutare i talenti appena arrivati ad adempiere alle formalità e orientarsi tra i servizi del territorio, “living in”, attività di aggregazione sociale e opportunità formative e professionali e “get involved”, per coinvolgere i talenti internazionali e renderli protagonisti in qualità di testimonial.
Anche in questo caso, il programma è realizzato in collaborazione con università, centri di ricerca e soggetti dell’ecosistema dell’innovazione e prevede attività di skills intelligence e di job matching per attrarre (o trattenere) persone con elevata specializzazione ma anche agevolazioni per l’accesso a servizi di conciliazione fra tempi di vita e di lavoro a favore delle famiglie coinvolte.
Perché una cosa ormai è chiara: le radici, da sole, non bastano. Così come non basta, da solo, il lavoro. Le tornanze accadono solo nascono nuove connessioni: umane, sociali e professionali. Del resto, come scrive ne La nuova geografia del lavoro, Matteo Moretti: «Nel panorama economico attuale, non conta tanto cosa fa o chi conosci, ma dove vivi. Il luogo in cui vivi, oggi, è più importante che mai».
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