Professional organizer, cosa fanno e perché potremmo averne bisogno

Siamo sommersi dalle scadenze e alla continua rincorsa di appuntamenti da incastrare in agende troppo piene. E fatichiamo a gestire le energie e il tempo a disposizione, che sia negli impegni lavorativi o nelle attività di cura. Ci sentiamo spesso in (rin)corsa. Viviamo in affanno. Se la tecnologia da una parte aiuta – dalle app per la gestione di tempi e task quotidiane -, dall’altra aumenta ancora di più la pressione – tra notifiche costanti e l’ulteriore impegno di appuntarsi le cose.

Ce lo dicono i numeri, come già riportavamo su Alley Oop: sono quasi il 50% gli occupati che percepiscono alti livelli di stress. Percentuale a cui si affiancano livelli molto alti di quanti considerano il carico mentale domestico come un peso dal forte impatto sulla quotidianità. Secondo una recente ricerca Spontex questo sarebbe vero per il 73% delle donne e per il 62% degli uomini. Inoltre, per 55% dei partecipanti allo studio si tratterebbe di un impegno che pesa particolarmente perché è legato alla necessità di dover gestire contemporaneamente più ambiti. E le preoccupazioni continue causano un sovraccaricano tale che il 35% segnala di sentirsi sopraffatto dalle necessità al punto da non riuscire a completare le attività iniziate.

Se davvero il carico mentale domestico, affiancato alle responsabilità sul lavoro, rappresenta un effetto limitante per 7 italiani su 10 (soprattutto donne), non manca e anzi sembra aumentare la consapevolezza di voler cambiare le cose. Sia all’interno della famiglia – arrivando a una migliore organizzazione e a un riconoscimento maggiore del peso dei bisogni domestici. Che, in parte, nella società – attraverso una migliore comprensione del valore economico delle incombenze di casa a contrasto della mancanza di apprezzamento sociale.

Una risposta (professionale) possibile

Da qualche anno una risposta contro la tendenza a rassegnarsi al caos, mentale e materiale, si incarna nella figura dei professional organizers (P.O.). Professionisti codificati a inizio 2003 negli Stati Uniti, Paese che certifica e dove attualmente operano il numero maggiore di queste figure, sono oggi molto diffusi anche in Europa. Dalla Francia ai Paesi Bassi.

Per quanto con numeri inferiori rispetto ai corrispettivi internazionali, anche in Italia i P.O. sono una realtà riconosciuta da oltre un decennio. Dal 2013, infatti, con l’istituzione dell’associazione di categoria specifica, APOI – Associazione Professional Organisers Italia* stabilisce gli standard e ne garantisce il rispetto da parte dei suoi iscritti.

Alla base della professione, la consapevolezza di poter migliorare la qualità della vita e la gestione più adatta alle necessità singole, raggiunta con una gestione più efficace del tempo e dei tempi. Specificano infatti da APOI: “Organizzarsi per vivere. Meglio”, perché “Crediamo nell’organizzazione personale come strumento per vivere una vita migliore. Piena e appagante. E crediamo in un’organizzazione alla portata di tutti”.

Teoria a parte, cosa fa e a chi serve un professional organizers? Provano a rispondere le autrici del primo “manuale” – in uscita a fine ottobre e dal titolo: “Professional Organizing, Istruzioni per l’uso”, firmato da Sara Mantovani, Francesca Procoprio e Alessandra Janoušek.

Il libro da una parte, offre una panoramica delle attività e degli interventi specifici possibili (e tutto quanto invece non è e non fa un P.O.). E dall’altra, mette in fila le esperienze, i codici, le procedure e alcune istruzioni pratiche per chi volesse intraprendere questo tipo di carriera. O certificarsi elevando allo step successivo un’attività magari già svolta senza sapere di poterne fare una professione riconosciuta. Aspetto quest’ultimo che interessante in particolare anche per quanti stessero scegliendo di effettuare un cambio di carriera. Specialmente, poi, per tante donne o giovani.

Nel panorama contemporaneo, questo tipo di occupazione risponde infatti a necessità sentite in particolare, per quanto non solo, da queste categorie. Risulta infatti un’opzione lavorativa che permette una certa autonomia nella gestione degli impegni, offre aggiornamento costante, networking e scambio di pratiche. E può soddisfare, al contempo, le priorità dei lavoratori di oggi, in un mercato del lavoro in velocissima evoluzione.

Trovare equilibrio

Le tre autrici nel loro volume, chiariscono da subito come questa sia una professione un po’ ponte e un po’ catalizzatore che orienta le scelte dei clienti e aiuta a trovare un equilibrio, a dare una forma più adatta alle incombenze. Attraverso la definizione di sistemi e metodi che possono passare dalla pratica “fisica” alla gestione mentale. E avvalersi anche della collaborazione tra specialisti di ambiti diversi di cui i clienti potrebbero (o meno) già servirsi. Ripetono con costanza nel libro, infatti, come un professional organizers non sia uno psicologo, un coach, né designer o architetto. Ma può lavorare insieme a queste figure o valutarne il contributo in base alle diverse situazioni.

Sara Mantovani, una delle autrice e professional organizer da oltre 6 anni, conferma: il talento specifico «è saper mettere in fila le cose, vedere chiaro nelle situazioni confuse». Continua, «In determinati momenti della vita, qualcuno di più lucido che ti aiuta dare un equilibrio, una struttura e ti fa investire le energie in modo migliore ritrovando il tuo personale equilibrio». Questi può significare trovare delle pratiche che servano per organizzare le priorità personali – dalle scadenze imminenti, ai task rimandabili, dalle attività quotidiane ripetute, agli eventi sporadici. O un programma di interventi che coinvolgano professionalità varie. Da qui poi, ottimizzare le tempistiche interne, dei singoli, delle famiglie e in collaborazione o meno con degli specialisti.

Con l’obiettivo di trovare il necessario equilibrio, si introducono processi che possono interessare anche direttamente la gestione degli spazi casalinghi e una maggiore divisione delle faccende domestiche. Applicazione pratica del concetto per cui l’organizzazione contrasta la confusione ed è strumento per il benessere.

«Citiamo il benessere perché l’organizzazione fa bene al cervello e quindi alla nostra vita. Lo stress da lavoro correlato – conferma Mantovani – e il burnout: l’organizzazione può prevenirli. Organizzare non significa però materializzare la fatina con la bacchetta magica che mette ordine nel caos. Il nostro è un mestiere. Una professione che si impara facendola e vedendola fare e attiene agli aspetti più concreti, pratici ed essenziali della vita quotidiana. È artigianalità, abilità e padronanza delle tecniche nell’applicazione ai piani di lavoro con i nostri clienti. Questo rende la nostra professione unica e affine al concetto etimologico di mestiere. Che come ci dice Treccani deriva dal latino mĭnĭstĕrium, ‘funzione di minister aiuto; servizio’».

Organizzare cosa? Organizzare chi?

Sul tema del valore sul carico mentale e verso un maggior benessere, torna anche l’altra autrice del volume, Francesca Procopio, certificata APOI dal 2019. «Per me l’organizzazione è anche poter affrontare gli imprevisti, positivi o meno, riducendo al minimo le preoccupazioni». Parte del lavoro è «risolvere problemi e rimuovere ostacoli che impedivano di godere appieno della casa, della famiglia, del tempo. La nostra professione ha a che fare con la felicità delle persone e questo è estremamente gratificante».

Una caratteristica ribadita nella definizione dei confini della professione, è la necessità di sistematizzare la cura della casa come risorsa per sfruttare efficacemente il tempo a disposizione. Proprio nell’ambito domestico, infatti – lo confermano le statistiche – si concentrano la maggior parte degli interventi dei professionisti, in Italia come nel mondo. Basti pensare che non solo la professione è nata prima di tutto come strumento di organizzazione domestica. Ma è diventata un vero trend mondiale grazie a Marie Kondo, forse l’organizzatrice più nota nell’immaginario culturale contemporaneo. Portando il suo metodo sugli schermi a livello globale, ha mostrato ai più il funzionamento e il potenziale del binomio decluttering/benessere.

Se è vero però che la maggior parte delle richieste passano dalle necessità di una migliore organizzazione casalinga e familiare, nella realtà di oggi mettere o trovare ordine ed equilibrio può interessare tutti gli aspetti della vita adulta. In modo singolo o integrato.

Dagli impegni lavorativi, alla strutturazione dalla routine di cura, la base guida dell’impegno di un personal organizer è la spinta ad «allocare in modo sostenibile le scarse risorse (tipicamente spazio, tempo ed energie) contrastando le distrazioni». Perché oltre al “modello Kondo”, la sfida aperta dal Covid-19 travasa molto facilmente dalla sfera domestica al contesto professionale, tra lavoro ibrido, smartworking, didattica online e appuntamenti per la cura personale o di parenti anziani. Il tutto spesso da gestire in ambienti tra loro contigui.

Lo vediamo tutti i giorni: a partire dalla fisicità dei luoghi da organizzare, il nostro presente è caratterizzato da sollecitazioni che trascinano l’attenzione verso stimoli sempre nuovi e in continuo mutamento. Minuscoli alert, compiti da svolgere, o spunte su liste in aggiornamento perenne. Fino al punto che ci troviamo a rispondere sempre a ritmi emergenziali. Al contrario, un’organizzazione più efficace permetterebbe di sistematizzare il tempo, scoprire o riscoprire processi che ci permettono di affrontare le giornate con meno stress e in maniera più strutturata. Più organizzata, appunto.

* Regola le “professioni non organizzate” come quella del professional organizer la legge nr. 4, del 14 gennaio 2013. Come le altre associazioni professionali riconosciute, APOI rilascia attestato di qualità dei servizi secondo le disposizioni del Ministero dello Sviluppo Economico MISE.

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