La poesia scritta da donne è da femmine?

Nelle antologie di letteratura, le donne sono state spesso trattate come evidenze o eccezioni. Ripetutamente narrate per il loro ruolo di muse o amanti dei grandi maestri, quasi sempre escluse dal canone letterario, inserite in un canone a sé disegnato attorno al loro genere, più che alla loro scrittura. Tanto più quando si parla di poesia.

Una delle raccolte cardine che indaga storie, gruppi, correnti della poesia, è “Poeti italiani del Novecento” (1978) di Pier Vincenzo Mengaldo, dove su 50 poeti si cita una sola donna, Amelia Rosselli. È del 1996 l’antologia di Cucchi e Giovanardi, “Poeti italiani del secondo Novecento”, che raccoglie 60 poeti di cui 8 donne. Eppure già nel 1976 Biancamaria Frabotta aveva curato la prima antologia di sole voci femminili, “Donne in poesia”, con 26 autrici dal dopoguerra alla metà degli anni Settanta.

«Discutevamo di uccidere i padri e non ci accorgevamo di essere orfani di madri», scrive Isabella Leardini, poeta e curatrice del volume “Costellazione parallela – Poetesse italiane del Novecento”, edito da Vallecchi. Un volume che parte dall’idea non di relegare le donne in un canone di genere, ma di strapparle al silenzio e all’ombra, perché l’assenza di uno sguardo complessivo non fa altro che perpetrare i pregiudizi che ben conosciamo e a cui certo la letteratura non è immune.

Poesia di femmina, poesia da femmina

«Per alcuni maschi, le femmine sono da femmina», mi ha detto un giorno mio figlio a sei anni, spiegandomi perché i suoi amici avessero disapprovato la sua scelta su un tipo di gelato. A quell’età, è già perfettamente interiorizzata nei bambini l’idea dispregiativa di ciò che concerne il gusto femminile: non possiamo dunque dire che sia davvero incolpevole l’abitudine di paragonare le poete solo alle poete e di rinvenire le influenze dei maestri solo nei poeti. Qui si sollevano già molte domande: esiste una poesia da femmina? Se esiste, non può essere scritta anche da un maschio? Ma soprattutto: se abbiamo avuto i maestri e i padri della poesia, dove abbiamo nascosto le maestre e le madri?

Isabella Leardini

«Se siamo donne pensiamo a ritroso attraverso le nostre madri”, scrive Leardini citando Virginia Woolf, e prosegue spiegando “la necessità di una genealogia e di un immaginario simbolico femminile in cui riconoscersi. Se noi per prime non ne riconosciamo la dignità, se non ci interessa guardare sotto la superficie di ciò che è stato predisposto da chi ha già deciso per noi, siamo destinate a restare a lato».

La grazia e la forza dei testi raccolti in questo volume sta proprio nel fatto che l’insieme che ne emerge è tanto ricco e vario quanto incodificabile: è un alfabeto intero, scrive Leardini nell’introduzione, che chiede di essere decifrato e non scambiato per una lettera sola. «Non dirò che questa è un’antologia di poesia femminile, ma non dirò neppure che sono poeti che hanno avuto un corpo, un nome di donna. Dirò che hanno scritto poesia degna di restare, dando voce anche al fatto di essere donne».

Nello scorrere l’indice di questi nomi, ne troveremo senz’altro alcuni familiari, altri che lo sono meno, altri a cui è finalmente stata restituita la parola: Ada Negri, Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Lalla Romano, Antonia Pozzi, Daria Menicanti, Fernanda Romagnoli, Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani, Cristina Campo, Armanda Guiducci, Nella Nobili, Maria Gloria Sears, Giovanna Bemporad, Amelia Rosselli, Alda Merini. Ciascuna di loro è accompagnata dai ritratti realizzati da Eros Beggiora, Simone Cortello, Silvia Giacomazzi, Alessia Vadacca, dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dove Leardini insegna scrittura creativa.

«Non volevo tracciare una mappa che avesse la presunzione di essere esaustiva», conclude Leardini. «L’immagine della costellazione mi ha orientata: un gruppo di stelle più o meno visibili, legate da un invisibile disegno, capaci di brillare ancora in differita, da una distanza che irride la morte e la sorte e si apre su una galassia più estesa, in espansione».

Separate ma unite

«Per conoscere è necessario distinguere, separare»: a scriverlo è Laura Di Corcia, nella postfazione di un’altra raccolta: “incantamenti”, curata da Francesca Matteoni, Cristina Babino e Laura Di Corcia, per Vydia editore. Venti voci poetiche di donne, per la maggior parte nate tra gli anni Settanta e Ottanta, a tessere canto e controcanto attorno a una parola, incantamenti appunto, che contiene in sé la magia ma anche il canto, la parola che crea l’incantesimo, la suggestione dell’atto creativo e generativo della scrittura.

Un’opera letteraria collettiva, nata dalla volontà di «creare un frammento di bellezza a partire da un tema, quello degli incantamenti, da declinare in assoluta autonomia, nel modo, nello stile, nell’ispirazione», scrive Babino nell’introduzione. «Fatta per il piacere stesso di farla, e di farla insieme, che porti in sé i germogli delle storie e delle poetiche di ciascuna delle voci presenti, a volte tra loro anche distanti, o parallele, a volte intrecciate».

Francesca Matteoni

Certamente mai disunite: nel gesto corale che sottende alla realizzazione di questa raccolta, si può scoprire che è possibile superare i confini delle proprie vicende personali, superare persino la linearità del tempo, in un gesto di crescita e ramificazione, intrecciando e mescolando le esperienze l’una dell’altra. «Le noi bambine scintillano come le anziane; le figlie partoriscono le nonne; il passato scrive con la sua cifra il futuro»: così Francesca Matteoni spiega che un incantamento «è qualcosa di più che opporsi allo status quo. È disfarlo, una parola alla volta. È rifare il bordo assicurandosi che ci sia posto per la sfilacciatura, per il non detto, non scritto, non deciso, perché una parte dell’incanto inizi in chi compone, ma l’ultima si chiuda in chi ridice».

Chiudo questo libro e mi dico che sì, forse è vero che esistono cose da femmina. Ma al netto del disprezzo secolare e dei colori dei nastri di nascita, femminile è relazione, è stare nell’indefinito, incantare e incantarsi nel creare e disfare, femminile è intrecciare le voci, non prevaricare ma armonizzare. Come mostrano insieme queste due splendide raccolte di poesia.

Da “Costellazione Parallela”

Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa’ che siano
allora come foglie e come vento
assecondando il suo volo.
E sappi che l’affetto nell’addio
non è minore che nell’incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.

All’ipotetico lettore“, Margherita Guidacci

Ogni sera le madri dai balconi
chiamano i figli con urli soavi.
Cadono i nomi gridati nel buio
come stelle filanti. Ad uno ad uno
tornano con le bluse a quadrettini
le gonnellette alte una spanna i teneri
re,
le regine.

“Estiva”, Daria Menicanti

***

Da “incantamenti”

Tuo padre e io
ci davamo il cambio
davanti alla culla.
Ognuno sperava di non darti,
in sostanza, niente di sé,
niente della nostra sciocca
resistenza all’abbandono,
niente di sanguinoso,
nessun terremoto, fughe in Egitto
colpi d’arma da fuoco.
Non eravamo capaci
di pregare insieme
le fate madrine del caso,
perciò vegliavamo a turno,
da soli, leggendo un libro,
ognuno i suoi incantesimi.

Marilena Renda

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Titolo: “Costellazione parallela. Poetesse italiane del Novecento”
A cura di Isabella Leardini
Casa editrice: Vallecchi Firenze, 2022
Prezzo: 18 euro

Titolo: “incantamenti”
A cura di Francesca Matteoni, Cristina Babino, Laura Di Corcia
Casa editrice: Vydia editore, 2024
Prezzo: 15 euro

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